di ALBERTO BIONDI
E’ guerra aperta al sistema editoriale italiano. Lo scenario bellico ricorda le Termopili di Serse e Leonida, in cui la marea persiana s’infranse su un pugno di coraggiosi kamikaze ante-litteram. Stessa battaglia spudoratamente impari, stessa missione suicida, ma da che mondo e mondo sono i pazzi a passare alla storia. Michele Mengoli, che con Guaraldi ha appena pubblicato Iene di Carta. Invettiva contro l’editoria (72 pagg. 6,90 euro), è tra le fila dei pochi opliti a marciare contro questa maestosa compagine di poteri. Un’armata con i suoi sergenti e caporali, manovrata dai biechi meccanismi del mercato e, come ogni istituzione nostrana, affetta dalla piaga del clientelismo. Ebbene sì, padrini e “patroni” pure tra i libri. Possibile?
Il quarto appuntamento di “All’Arme!” organizzato la settimana scorsa alla Mondadori di Piazza Tre Martiri ha gravitato attorno a questo spinoso argomento. Mengoli, in compagnia di Davide Brullo e del presidente della consulta studentesca Giacomo Morigi, ha iniziato smascherando i retroscena delle scuole di scrittura. Laboratori in cui, al pari delle tecniche narrative, si impara a tessere una “trama” di relazioni che un giorno tornerà utile ai fini della pubblicazione. Niente a che vedere con “fucine del talento”, quindi, ma pura e semplice occasione per autori affermati di vestire i panni del maestro, del guru-santone e venire celebrati (e remunerati) da aspiranti scrittori in cerca di pubblicazione. Un trampolino per scalare i ranghi del sistema editoriale.
Nel nostro Paese se ne contano diverse di queste scuole, ma la più patinata è senza dubbio la Holden di Alessandro Baricco, che previo superamento di un esame di ammissione si propone di trasformarti da sfigato scribacchino alla scoperta letteraria degli ultimi vent’anni. Il tutto alla modica cifra di 7mila euro all’anno, per due anni. Se qualcuno si stesse chiedendo che razza di scuola sia, il suo sito internet ne comunica perfettamente l’essenza. Anglicismi zuccherosi, belle fotografie, ma soprattutto le parole del suo eminente Preside: “La scrittura si può insegnare perché è un mestiere. Poi, la Scuola ha moltissime altre funzioni: rompere l’isolamento, servire da ascensore sociale”.
Ascensore sociale, detto tutto. “Il problema non è nelle scuole di scrittura creativa, ma nel meccanismo Italia che dimentica sempre l’aspetto meritocratico delle cose” dice Mengoli, che in Iene di Carta ha inserito un personaggio di nome Holden in un (non troppo velato) riferimento a Baricco stesso. La prova del delitto? Il fac-simile di una lettera riportata nel libro che propone all’aspirante scrittore di pubblicare la sua opera con la casa editrice affiliata alla scuola. Pagando. Perché in definitiva ruota tutto attorno a questo, un gioco di ricatti e velleità che anziché alla letteratura assomiglia a Wall Street.
Il dibattito si è poi spostato sul tema della crisi (economica e identitaria) dell’editoria; un settore ormai incapace di comunicare con le nuove generazioni, che abituate alla democrazia digitale di internet non si fermano più al nome griffato, al personaggio di grido, ma vanno direttamente alla sostanza di ciò che leggono. “Francamente, mi interessa poco se un libro è pubblicato da Mondadori o stampato clandestinamente da un mio amico: mi interessa cosa c’è scritto” ha detto Giacomo Morigi alla testa di una piccola delegazione di liceali riminesi. Perciò che sia Baricco, Moccia o Fabio Volo, che il talloncino in copertina annunci vendite a sei zeri, la tendenza è demistificante.
Emerge così un aspetto positivo della rete, quello di aver stimolato nelle persone la capacità di setacciare l’informazione spazzatura per concentrarsi sui contenuti validi. È il naturale cortocircuito della società dell’immagine, che raggiunto un bombardamento intollerabile di stimoli sviluppa nella gente gli anticorpi per immunizzarsi. La parola scritta, per salvarsi dal suo apparente declino, deve incardinarsi al principio di qualità. Che sia (finalmente) l’inizio di una nuova era?
© RIPRODUZIONE RISERVATA