Abbiamo incontrato il regista e attore Antonio Maria Magro a Riccione, dopo il matrimonio con l’ex supermodella riminese, ora apprezzata cantante jazz internazionale, Patrizia Deitos. Esattamente due mesi fa.
Antonio vive da anni a Riccione ed è un amore al quale non è disposto a rinunciare.
Il fascino di Riccione dopo l’estate è qualcosa di unico. C’è una energia magica che sfiora l’incanto. Solo respirare sembra un miracolo. Del resto ho vissuto anni per lavoro in città piene di atmosfera, Firenze per prima, Lugano poi e altre città della Svizzera. Poi Parigi. Senza dimenticare la mia città per eccellenza: Bologna. Ma qui c’è qualcosa che non riesco a descrivere.
Ecco, Bologna! E’ la città dove è cresciuto, dove ha studiato, dove ha vissuto…Che ruolo ha ora?
E’ come il primo amore: non lo scordi mai ma è una cosa chiusa. Amo talmente Bologna che mai più ci tornerei a vivere. La voglio ricordare com’era. Quando il mondo girava solo intorno a lei.
Lei però è nato in Calabria…Non le è restato nulla di quella terra?
Decisamente nulla. Recentemente ho rivisto il film “Cristo si è fermato a Eboli” di Rosi, tratto dal meraviglioso romanzo di Levi. Ho trovato una ben strana coincidenza: il paese dove viene confinato Levi si chiama Gagliano. Quando ho letto il libro e ho visto il film non ci avevo fatto caso ma anche io sono nato a Gagliano (anche se non quello lucano) paese che poi è diventato un quartiere di Catanzaro. Ecco….ho provato un senso di smarrimento…Quelle terre non mi appartengono se non letterariamente o poeticamente. Le amo come amo tutto ciò che scompare. Sono terre disperate, dimenticate, di un’altra Italia; forse quella più autentica ma lasciata a se stessa, una Italia che sprofonda nel baratro della corruzione e dell’indifferenza. Tra la povertà e la dignità di chi non ha aiuti di nessun genere, di chi è stato depredato dal nord, umiliato e abbandonato. In Calabria Cristo si è fermato a Lamezia terme….Davvero!
Lei viene considerato un autore cinematografico di élite, che ha girato solo film raffinati e poetici. Che non ha mai accettato compromessi a costo di non lavorare. Cosa ne pensa del cinema italiano?
Ha detto bene: a costo di non lavorare… Dopo i 50 anni ho scoperto che si può dire di tutto senza problemi. E allora ne approfitto: se togliamo Giuseppe Tornatore, un autore straordinario che non considero italiano per il modo di girare, siamo allo sbando. E’ una follia collettiva, sembra che tutti si siano messi d’accordo per girare il film più brutto. E’ un cinema di uno squallore più unico che raro. Autoreferenziale, pieno di pietosi casi umani, sconnesso, amatoriale, fatto con i piedi…A volte vola una rondine, a volte due…ma non arriva mai primavera. E’ un cinema di cui, da spettatore, mi vergogno. Con attori che sono peggio dei registi, il che è davvero molto complesso. Come diceva Proietti, in un suo libro se non vado errato, è pieno di gente che fa l’attore ma “fare” l’attore ed “essere” attore sono cose terribilmente distinte. Due binari che per definizione non potranno toccarsi mai. Sa una cosa? quando io ero bambino, a Bologna nella mia parrocchia di via Lame alcuni amatori mettevano in scena ogni anno uno spettacolo. Imparavano un copione a memoria e facevano delle prove nel teatrino. Io andavo a sbirciare di nascosto: erano il barbiere, l’avvocato, l’architetto, l’operaio, lo spazzino (non mi faccia dire per favore: operatore ecologico…), il benzinaio, la studentessa universitaria e via dicendo. Ecco, loro “facevano” giustamente gli attori. L’anno dopo lo spettacolo cambiava ma loro no e, giustamente, anche i nuovi personaggi venivano interpretati allo stesso modo. Per forza: “ facevano” gli attori! Giocavano a fare gli attori. Non “erano” né , tanto meno, pretendevano di “essere” attori. Provi a guardare una qualsivoglia fiction televisiva (tolte ovviamente alcune, come Montalbano che è meravigliosa). Vede sempre gli stessi attori che recitano (malissimo!) lo stesso personaggio: se stessi. Ripetono a pappagallo (ripeto: malamente) battute. L’anima non esiste, non c’è. E’ la Grande Assente. Sono dei cani che latrano. Il bello è che gli ascolti salgono, hanno livellato i gusti del pubblico al basso, ma talmente al basso che di più non si potrebbe fare. E parlano…parlano…parlano…vanno a presentare nei talk show questi capolavori con un coraggio davvero invidiabile. La cosa tragicomica è quando descrivono il loro “personaggio”, le sfaccettature, i caratteri, le trame, come descrivessero una figura uscita dalla penna di Tolstoy. Poi la regia trasmette una clip di presentazione e vedi tale e quale lo stesso personaggio interpretato un anno prima nella fiction precedente: le stesse movenze, gli stessi dettagli, le stesse espressioni, gli stessi tic perfino. E qui si tocca il patetico.
Non vede sbocchi in questa situazione?
Mah, difficile a breve termine. Hanno fatto terra bruciata. Occorre ricostruire tutto dalle fondamenta. Mettere al bando “nani e ballerine” come li chiamava Guccini e tornare a studiare veramente. Capire cosa è l’Arte per l’uomo, che cosa grande rappresenta e quanto debba essere appannaggio solo di chi ne ha gli strumenti: non tutti possono fare gli attori, i registi, gli sceneggiatori, i cabarettisti. Ci vogliono doti, carisma, sensibilità molto particolari. Ci devi nascere. Poi ti puoi affinare, puoi maturare, ma certe cose o le hai o non le hai. Inventarsi porta la società alla rovina. La politica ne è lo specchio. In fondo abbiamo i governanti che ci meritiamo, il cinema che ci meritiamo, la televisione che ci meritiamo…Occorrerebbe fare un lungo discorso sull’ignavia. Sempre che la semantica vada ancora di moda e si capisca di che parlo.
Prima ha detto: amo tutto ciò che scompare, cosa intendeva?
Che siamo di passaggio e che la Vita è un momento unico e straordinario la cui meraviglia consiste nel fatto che scompaia, che abbia un termine. Eppure siamo tutti terrorizzati da questo. E’ un assurdo, una contraddizione che la società moderna è riuscita ad alimentare con la logica del Nulla. Siamo schiavi del Nulla, preda del consumo e della corruzione che quest’ultimo porta inevitabilmente con sé. Il pensiero è bandito. Chi pensa è addirittura emarginato. Lo chieda ai 15/16enni di oggi. Nella logica del branco pensare è fuori moda, è una cosa “antica”, sorpassata dall’usa e getta. E’ la follia. E pochi sembrano accorgersene. Tanto meno il cinema italiano. Mi scusi ma mi fa molto ridere. Già solo dire “il cinema italiano” sembra una barzelletta…Del resto si ride sempre delle tragedie, non trova?
E’ davvero molto forte ciò che afferma…
E’ molto forte l’indifferenza a tutto questo. E’ molto forte la risposta politica a quanto sta accadendo: una risposta di morte. Questa è la vera fine, non il termine della Vita che è solo fittizio.
Lei dunque crede ad un aldilà.
Non credo a nulla di particolare. Ho solo la certezza che non esista la morte come la intendiamo. Siamo esseri eterni, multidimensionali. Mutiamo forma, facciamo esperienze, Noi siamo già in quello che lei definisce l’aldilà. Solo che non ce ne rendiamo conto. Siamo dappertutto, siamo una cosa sola col cosmo. Ma finché non ce ne renderemo conto vivremo in un inferno, in una trappola, in quella che i grandi saggi chiamano l’Illusione.
E’ quindi un seguace delle teorie orientali.
Certo che sì e certo che no. Non esiste più un Oriente ed un Occidente. Esiste l’Uno. A scuola a cosa è servito studiare Plutarco? I neo-platonici, la scuola Eleatica….Lucrezio? A cosa è servito studiare Pirandello se poi ci comportiamo come se non fossero mai esistiti? I grandi pensatori, i grandi poeti, i grandi musicisti e narratori avevano capito tutto da subito. Ma noi continuiamo a fare finta di nulla. A guardare i programmi della tv generalista. Si ricorda cosa diceva Pasolini, lo stesso anno della sua morte, nel 1975? “Nulla è più feroce della banalissima televisione”. Ha usato l’aggettivo “feroce”. Si usa per le belve alla ricerca di carne. Veda un po’ lei…Siamo ancora al festival di Sanremo e a Miss Italia! Se non è follia questa!
Non vorrei sembrarle inopportuno ricordandole che lei ha appena sposato una protagonista di Miss Italia…
Onestamente non vedo il nesso. Aveva 17 anni. E, anche io senza sembrarle inopportuno, vorrei sottolineare che se le concorrenti fossero tutte belle come mia moglie, forse avrebbe un minimo senso anche il concorso. Concorso che abolirei domani, comunque. Per rispetto delle donne e della nostra intelligenza.
Infatti stavo scherzando. Una provocazione per vedere cosa avrebbe risposto. Del resto sua moglie, Patrizia Deitos, sarebbe diventata comunque una top model anche senza Miss Italia.
Non starebbe a me dirlo, ma non vi è dubbio.
Si è appena sposato. E’ felice?
Felice è una parola troppo piccola per rappresentare ciò che provo. Sono 4 anni che conosco Patrizia e due mesi che ci siamo sposati. E’ stata la cosa più saggia che ho fatto nella mia vita.
E’ molto bello quello che ha detto. Mi dice cosa l’ha colpita di più di Patrizia al di là della bellezza?
E’ una donna di rara eleganza interiore.
Beh, dopo una affermazione così, qualsiasi altra domanda potrebbe risultare… decisamente inopportuna!