– Negli ultimi tempi abbiamo assistito a tutta una serie di considerazioni più o meno corrette circa i consumi di energia elettrica, l’ambiente e le risorse energetiche. Credo sia doveroso fare un po’ di chiarezza basandoci sulla forza dei numeri evitando posizioni strumentali che di scientifico hanno ben poco.
La parola d’ordine di questa estate è stata black out ed, almeno ufficialmente, gli elementi sotto accusa sono stati gli alti assorbimenti dovuti all’uso dei condizionatori, causa il caldo eccezionale, ed il taglio, subito senza preavviso, di una parte dell’energia importata dalla Francia. L’epilogo di tutta questa serie di vicende è stato il black-out avvenuto su tutto il territorio nazionale, ad eccezione della Sardegna, il 28 settembre scorso.
Inannzi tutto è bene precisare subito che l’Italia dispone di una capacità di generazione energetica largamente in eccesso rispetto alla domanda: infatti dal settore petrolio/carbone/gas deriva una potenza di 54.200 MW (MW = milioni di watt), mentre dalle fonti rinnovabili di circa 21.300 MW, per un totale di 75.500 MW a fronte di una domanda di punta tipicamente dell’ordine di 48.700 MW. Uno dei picchi storici della domanda fu raggiunto l’11 dicembre 2001 con 54.700 MW, valore assolutamente confrontabile con i picchi raggiunti durante questa estate ma certamente non così tanto enfatizzato e publicizzato, verificatosi in concomitanza di uno degli inverni più freddi degli ultimi cento anni e contemporaneamente più secchi a tal punto da prosciugare diversi bacini idroelettrici.
In Italia il rapporto tra il margine di riserva e la domanda di punta è mediamente pari al 55%, addirittura superiore a quello di paesi come la Germania (38%), la Spagna (50%) e la Francia (55%). E’ chiaro quindi come l’Italia di fatto non rischi alcun black out (fatta eccezione per qualche cabina di trasformazione andata in tilt per l’eccessiva temperatura, problema facilmente risolvibile con un adeguato sistema di ventilazione o per altri motivi che approfondiremo) e come questo recente spettro dell’interruzione dell’energia elettrica sia strumentalmente allestito per creare allarmismo atto a generare consensi attorno alle politiche in grado di favorire le lobby del settore energetico. Infatti a seguito del decreto sblocca centrali (55/2002) sono stati immediatamente presentati oltre 500 progetti per la realizzazione di nuove centrali per un totale di 98.000 MW!
L’episodio del 28 settembre, dando credito alla versione ufficiale, è stato il risultato di una straodinaria quanto sfortunata concomitanza di eventi che hanno coinvolto due guasti, uno sulla linea elettrica Italia-Francia, da cui noi importiamo circa 1/6 del nostro fabbisogno, ed uno nel collegamento con con la Svizzera che avrebbero coinvolto anche una linea utilizzata di norma come riserva, unitamente ad un grave mancato coordinamento tra i nostri tecnici e quelli d’oltralpe. Il tutto avrebbe causato un effetto a cascata che il gestore della rete nazionale non ha più potuto fronteggiare.
In realtà il problema quindi non è tanto costruire nuove centrali, in quanto l’incidentalità imprevedibile di eventi sfortunati prescinde dall’energia disponibile; black-out, dovuti a cause a volte anche banali, sono accaduti recentemente in Canada, USA, Francia ed Inghilterra, ovvero in nazioni notoriamente all’avvanguardia sul piano tecnologico che tuttavia, nel gioco del rimpallo delle responsabilità, non hanno ancora fatto chiarezza sulle cause primarie di tali eventi.
Al contrario è un fatto assai più prevedibile quello della necessità che esista un efficace rete di dialogo tra gestori di rete di nazioni diverse collegate fra loro per fronteggiare anche episodi tanto eccezionali. Sull’onda emotiva dei disagi che ne sono seguiti ho sentito di tutto, dalla necessità di costruire nuove centrali invocando anche il nucleare, dopo che il referendum del 1987 lo ha respinto, fino a motivare la condizione provilegiata della Sardegna sulla base del fatto che essa è autosufficiente sul piano elettrico dimenticando di dire che essa, per la sua posizione geografica, non è direttamente collegata alla rete della penisola mentre altre regioni autosufficienti come la Lombardia e la Liguria non sono state risparmiate dal black-out.
L’esubero di potenza che deriverebbe dalla costruzione di nuove centrali sarebbe difficilmente spiegabile se non in tremini di un incentivo ai consumi, una sorta di principio economico al contrario dal momento che, di norma la domanda genera l’offerta, e non l’inverso, come sta accadendo. Numeri di questo genere non hanno nulla a che fare con la volontà di dar sicurezza ai cittadini e al mondo produttivo.
Inoltre altro elemento di fondamentale importanza risiede nel fatto che la quasi totalità delle nuove centrali previste si colloca nel filone delle centrali a combustibili fossili con produzione di gas serra, come l’anidride carbonica, responsabili del lento riscaldamento del pianeta, senza considerare la produzione di altri composti causa di altre modificazioni ambientali quali l’inquinamento delle città e le piogge acide. In aggiunta potrebbero sommarsi altre problematiche: si pensi ad esempio, solo a livello locale, alla centrale elettrica che si vorrebbe costruire nel territorio del Comune di Coriano in prossimità di un inceneritore ed di un elettrodotto da 380 kV che, a livello ambientale, costituiscono già un pesante impatto dal momento che esistono preoccupanti statistiche a livello clinico su entrambi.
Il suo funzionamento richiederebbe l’apporto di notevoli quantità di acqua per il raffreddamento delle turbine che poi verrebbe scaricata in mare con inevitabile innalzamento termico dell’ambiente marino ed inevitabili danni ad un’ecosistema che sta già offrendo preoccupanti segnali in tal senso.
Sulla base di queste considerazioni diventa quasi grottesco e, al tempo stesso inquietante, pensare che alcune amministrazioni come quella del comune di Rimini abbiano adottato per mesi un provvedimento di riduzione del traffico cittadino (v. targhe alterne), causa l’incremento delle polveri fini in atmosfera, senza preoccuparsi particolarmente dei risvolti che una siffatta centrale può comportare a livello ambientale con l’aggravante di non aver applicato lo stesso provvedimento anche nei mesi estivi: che forse l’alta pressione dovuta all’anticiclone delle Azzorre, che ha stazionato per mesi sul nostro paese, abbia mandato in crisi anche le famose centraline dell’ARPA che durante tutto l’inverno ci hanno tenuti informati sulla gravità del problema o forse la coerenza, virtù in via di estinzione, è stata sacrificata sull’altare del turismo e del divertimentificio estivo?
Al fine di raggiungere tale obiettivo è necessario che le politiche energetiche nazionali e locali siano improntate alla riduzione dei consumi energetici e all’incentivo di produzione di energia da fonti alternative e pulite come ad esempio l’energia solare. E qui arriviamo al secondo punto, infatti se da un lato è chiaro che la tendenza è verso un incentivo ai consumi, è altrettanto chiaro che sul settore delle fonti alternative siamo ancora molto arretrati disattendendo così in modo completo le linee guida necessarie per rispettare gli accordi sottoscritti.
In Italia abbiamo circa 5 metri quadrati di collettori solari ogni 1000 abitanti contro i 200 di Austria e Grecia o gli 800 di Cipro ed Israele. Se in Italia i metri quadrati di collettori solari fossero 200 ogni 1000 abitanti, nelle 8 ore medie di funzionamento, si produrrebbero 4.347 MW pari a oltre 5 volte gli 800 MW di potenza tagliati durante il perido estivo senza preavviso dalla Francia, da cui complessivamente dipendiamo per circa il 16% del nostro fabbisogno elettrico.
In merito poi alla produzione di energia, e quindi al risparmio di elettricità, con 200 metri quadrati di collettori solari ogni 1000 abitanti si verrebbe a risparmiare il 4,5 % dei kWh (chilowattora) consumati in un anno, mentre nell’ipotesi di 800 metri quadrati addirittura il 18% del fabbisogno annuo, quota superiore a quella importata dalla Francia!
A tutto ciò si aggiunga che il contributo dell’impianto non solo arriva nelle ore di massima richiesta, ma anche in modo decentralizzato sul territorio. Questo fa si che le stime sopra riportate risultino sicuramente prudenziali dal momento che si deve aggiungere un’ulteriore quota di risparmio, a livello locale, dovuta al fatto che vengono ridotte considerevolmente le dispersioni causate dal trasporto dell’energia su grandi distanze ed inoltre, anche in caso di black out, l’impianto solare riesce comunque a garantire acqua calda, particolare non da poco visto che nel nostro meridione, paradossalmente, metà dei consumi dipendono da questo tipo di utenza. Avere più centrali significa avere a disposizione più potenza, ma, alla lunga, come effetto indesiderato, anche una maggiore temperatura dell’ambiente (per chi vuole approfondire l’argomento si consigliano alcuni approcci con le dinamiche dei sistemi complessi come l’effetto farfalla e la teoria del caos, a livello divulgativo si può ad esempio consultare IL CAOS: le Leggi del disordine Ed. Le Scienze). L’innalzamento termico, a sua volta, costiutisce un ostacolo alla trasmissione dell’energia elettrica, problema che, risolto in modo ottuso, richiede ulteriori maggiori potenze: e’ la logica del gatto che si morde la coda.
L’energia prodotta con impianti fotovoltaici consente, al contrario, di risparmiare, per ogni kWh, circa 700 grammi di anidride carbonica nonchè di altri gas responsabili dell’effetto serra. Pertanto con 200 metri quadrati ogni 1000 abitanti eviteremmo di immettere in atmosfera, a livello nazionale, circa 8,9 milioni di tonnellate di anidride carbonica, mentre con 800 metri quadrati arriveremmo a riparmiare addirittura 35,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Non abbiamo bisogno di più energia, ma di nuove tecnologie, tecnologie pulite ed efficienti che per altro esistono (sistemi fotovoltaici, eolici, a idrogeno, geotermici, a biomasse, a rifiuti ecc.), ma sui quali manca, per ora, la volontà dei grandi investitori.
di Fausto Bersani Greggio
Ricercatore all’Università di Urbino