– “Silvano Gerani è troppo orgoglioso per adottare la cassaintegrazione, o addirittura licenziare”. Questa la frase che si raccoglieva negli ambienti economici del Riminese. Invece, per dare ossigeno all’azienda, è stata imboccata la strada della cassaintegrazione ordinaria. Per 3 mesi, a turno, non lavoreranno 250 addetti. In un primo momento la Gilmar aveva chiesto al sindacato la cassaintegrazione ordinaria a zero ore. Poi, con la trattativa col sindacato (Cgil, Cisl, Uil), Assindustria e azienda (Giovanni Cocchini) si è optato per una soluzione più civile. Il patto, firmato lo scorso 24 luglio, è partito il 28 luglio. Dopo il periodo di messa a riposo, si vedrà che cosa fare.
La crisi Gilmar è figlia di un momento sfavorevole per il tessile ed il settore moda. Soffrono marchi prestigiosi, come Gucci e Prada. Il mal comune non rallegra, ma la speranza che la crisi Gilmar sia legata all’attuale periodo economico e che non abbia radici ben più profonde, come la qualità dei capi, la politica commerciale, la comunicazione, le scelte strategiche.
Negli ultimi anni a San Giovanni in Marignano si sono avvicendati più direttori generali per cercare di scuotere l’azienda e trovare soluzioni.
Esportazioni in oltre 50 nazioni, la casa di moda Gilmar (acronimo di Giuliana Marchini) venne fondata nei primi anni ’60 dai coniugi Silvano Gerani e Giuliana Marchini. All’inizio furono i maglioni di lana. Lei, la signora, li crea, lui, il marito, li va a vendere.
I capi piacciono. L’impresa cresce. Il marchio forte è Iceberg. Si provano altre avventure industriali, i blu jeans, il classico, ma con poco successo. All’apice, fine anni ’90, la signora viene insignita del cavalierato dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. E i primi colpi di tosse, causati dall’Estremo Oriente, sono proprio di quel tempo. Impiega direttamente circa 450 addetti con un giro d’affari di circa 100 milioni di euro.
Nessuna cassaintegrazione in vista per le altre 3 imprese tessili del Riminese: Aeffe, Fuzzi e Terranova.