“Allarme” nel mondo accademico, dunque, anche nelle ali più moderate. Sistemi di reclutamento, carriere e responsabilità dei giudici sono materia delicata per gli equilibri istituzionali. Trasformare i magistrati in “burocrati”, sottoponendoli a rigidi controlli gerarchici, significa “strozzare” l’interpretazione della legge in senso innovativo. Si torna indietro di decenni. Dimenticando che la magistratura (ora “da ridimensionare”) ha promosso i diritti civili proclamati nella Costituzione del ’48 ben prima del Parlamento. E’ accaduto, ad esempio, nel contrastare gli abusi autoritari della polizia e nel garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro. Non solo in Italia. Nella “terra della libertà”, le Corti Federali hanno sconfitto la segregazione razziale, aprendo il varco alle leggi kennedyane.
La riforma della giustizia mette in gioco l’indipendenza della magistratura come contrappeso al potere politico. Richiede saggezza e confronto tra diverse sensibilità di operatori ed esperti, essendo destinata a sopravvivere alle fluttuanti maggioranze politiche. Non può ridursi ad epilogo di un susseguirsi di aggressioni verbali e di invettive. Metodo e forme in democrazia sono sostanza, insegnava Alexis de Toqueville, scrittore politico spesso citato ma altrettanto spesso dimenticato.
Non a caso, in tempo di crisi istituzionale, Capo dello Stato e Presidente del Parlamento Europeo, il britannico Cox, invitano a promuovere la fiducia ed il rispetto nella magistratura, pilastro dello Stato di diritto. Osservo: quella fiducia i giudici devono meritarla giorno per giorno nei rapporti con gli utenti del servizio giustizia: imputati, vittime di reati, testimoni, parti nel processo civile.
Per molti di loro, al di là del riconoscimento del torto o della ragione, l’incontro con il giudice, in tribunale, resta una esperienza indimenticabile. Ricorderanno se era equilibrato o arrogante, se rispettava la persona e se era capace di ascoltare. E, soprattutto, se incuteva timore o infondeva fiducia. Solo in questo ultimo caso saranno disposti a difenderne l’indipendenza, perché garanzia dei propri diritti. Altrimenti, la percepiranno come un privilegio nocivo. Insomma, il giudice è ancora “fabbro” del proprio destino.
Ma, i cittadini devono sapere. La situazione della giustizia in Italia, sul versante dell’organizzazione dei servizi, è semplicemente drammatica. Scarseggiano le risorse: taglio dei fondi, blocco delle assunzioni del personale amministrativo, abbandono dei progetti di innovazione. Manca persino la carta per fotocopiatrice. Ed allora chiediamoci: come si coniuga un sistema giudiziario inefficiente con la crescente richiesta di sicurezza della collettività? Va, forse, promosso un sistema penale parallelo gestito solo dalla polizia, magari per risolvere i crescenti problemi di ordine pubblico legati a questioni di disagio razziale?
Abbiamo la maturità democratica per accettare operazioni politiche di questo tipo, come la Germania o gli U.S.A.? La storia insegna che interventi di tal fatta, a parte i pericoli di derive autoritarie, verrebbero a colpire solo la delinquenza dei ceti deboli ed emarginati. Si sbiadirebbe ancor più il mito della legge uguale per tutti. Con buona pace delle migliori tradizioni liberali, socialiste e cattolico-democratiche del nostro Paese.
di Piergiorgio Morosini
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo