– Da dove deriva l’insoddisfazione dei riminesi nei confronti di Hera? Ha ragione il proverbio del “piccolo è meglio”, per cui le aumentate dimensioni dell’azienda di servizi potrebbero aver inciso negativamente sull’efficienza del relativo servizio? O piuttosto, come dice qualcuno, si è trattato solo di campagna giornalistica? E soprattutto, il territorio riminese ci ha comunque guadagnato o rimesso con l’operazione che ha fuso le “piccole” aziende locali creando il colosso regionale Hera?
Per rispondere a queste domande può essere utile qualche passo indietro. A quando Hera ancora non esisteva, e c’erano invece Amir, Amia, Sis e Geat, oltre ad una serie di aziende ancor più piccole legate sempre al ciclo delle acque e dei rifiuti. Perché si giunse alla loro unificazione? La scelta è stata conseguente alle leggi. Una normativa europea imponeva che, entro il 2006, spariscano i monopoli anche negli ultimi servizi rimasti pubblici (acqua e rifiuti) e si effettuino bandi per la gestione dei servizi stessi. E’ del tutto ovvio che in questa maniera un qualunque colosso di questi servizi, ad esempio la francese Lyonaisse des aus sul fronte idrico, avrebbero agevolmente “fatto acquisti” sul territorio riminese.
Chi, tra Amir, Amia, Geat o Sis, avrebbe potuto resistere al dumping di una multinazionale che già gestisce il servizio in vari poteri d’Europa? Quella multinazionale, o un qualunque gruppo di pari forza, avrebbe potuto fare un’offerta a perdere semplicemente per accaparrarsi il territorio e gestirvi poi il servizio. Sarebbe stato molto difficile intervenire a posteriori sulle politiche dei prezzi, ed è noto che negli altri paesi d’Europa, l’acqua ad esempio costa molto di più che in Italia. E gli investimenti? Pare evidente che una multinazionale che persegue l’utile avrebbe per prima cosa tagliato i rami secchi, e investito solo laddove ci fosse un sicuro ritorno economico, a tutto scapito di uno sviluppo armonico del territorio.
In base a queste prospettive già da diversi anni si lavorava all’unificazione tra le quattro aziende, allo scopo di creare un soggetto locale in grado di controbattere ai colossi europei in un simile bando. In un primo momento, e non senza resistenze e campanilisti risibili di fronte al pericolo incombente, si pensò ad Adria, una spa provinciale che “contenesse” le quattro precedenti aziende di servizio.
Ma poche settimane dopo aver raggiunto, nel comune gaudio, questo risultato, ecco che alla finestra si è affacciata Seabo. Proponendo di fare un’azienda unica, assieme a quelle riminesi (appena costituite in Adria) e le altre della Romagna. E qui vi fu la prima scelta discutibile (o quantomeno difficile da capire) da parte degli amministratori locali. Invece di andare in trattativa con Adria, si resero autori di una precipitosa marcia indietro: Adria fu di fatto sciolta, e la realtà riminese andò alla trattativa col resto della Romagna, e soprattutto con Bologna, separatamente: ancora con le quattro piccole aziende, e con tutti i campanilismi relativi. Perché?
Poi, dopo infiniti problemi, nasce Hera. La testa pensante è a Bologna, ma in ogni realtà locale nascono sezioni territoriali con propri presidenti, dirigenti e organi istituzionali. E qui nasce la seconda questione discutibile. Perché ai vertici vengono messe sempre le stesse persone? Perché sono sempre gli stessi nomi a girare, primo di tutti quello di Ermanno Vichi, immancabile ad ogni candidatura? E perché la componente romagnola opta per Tomaso Tommasi di Vignano per la poltrona di presidente di Hera?
E dopo la creazione di Hera inizia il servizio. Ed iniziano le lamentele. Specie su quei servizi che prima erano gestiti da Amia, in maniera da tutti giudicata positiva.
Cosa è successo? Difficile dire che il problema deriva dall’ampliarsi della società, che non riesce più a curare i dettagli, visto che esiste, come detto, una sezione riminese di Hera, presieduta da Ermanno Vichi (fino a qualche settimana fa, quando ha lasciato il testimone a Mario Masi da Riccione, già presidente di Sis). C’è subito chi sostiene che i problemi derivano dall’allontanamento di Fabio Galli, destinato a Bologna a dirigere l’intero settore rifiuti di Hera. Tra l’altro anche l’ex direttore di Amir, Giorgio Giuliani, viene spostato ad altro incarico.
Che derivino da questa “decapitazione dirigenziale” dell’azienda i problemi dei servizi, con le conseguenti lamentele degli utenti? Questa è, ad esempio, l’interpretazione di Massimo Lugaresi, il capogruppo diessino del consiglio comunale di Rimini, tutt’altro che parco di critiche ad Hera, in una commissione comunale ad hoc, con l’audizione di un Vichi sulla difensiva. Lo stesso Lugaresi però, non ha mancato di far notare, che molti problemi erano anche “montati” ad arte nelle campagne giornalistiche.
E in effetti, difficile pensare che altri riuscissero a contrastare, meglio di Hera, la famigerata zanzara tigre.
Quindi le tariffe: sempre incombente il rischio di aumenti in quelle riminesi. Perché? Semplicemente perché fino ad ora i riminesi avevano pagato il servizio meno degli altri, e si sta pian piano andando ad un riequilibrio. Difficile fare altrimenti, anche per il discorso fatto all’inizio: il bando nel 2006 ci sarà ancora, e se Hera non si potenzia, il riminese potrebbe divenire terreno di (facile) conquista per grandi gruppi stranieri. Che poi, non dovendo rispondere elettoralmente del loro operato, potrebbero alzare i prezzi con libertà molto maggiore.
Molti attacchi insomma, avevano e hanno un sapore più politico che tecnico. Ma d’altra parte, se l’intera gestione dell’operazione, Adria prima ed Hera poi, fosse stata gestita in maniera meno politicizzata e più tecnica, tutte quelle lamentele, per quanto montate, si sarebbero potute contrastare più facilmente e con più successo.
di Francesco Pagnini