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“Ciao, mister. Come stai?”. Con questo saluto affettuoso lo ricordano i suoi allievi oramai diventati grandi quando lo incontrano. “Il mago della panchina”. Così lo ha soprannominato Giuseppe Del Bianco, l’addetto stampa del Morciano Calcio. Lui è Giorgio Pasquinelli, uno tra i giocatori più forti sfornati dalla capitale della Valconca nella sua lunga storia. A 15 anni, era portiere titolare del Morciano, nel quale è ritornato a giocare a fine carriera, per smettere a 40. Nella parte nobile della carriera ha vestito le maglie di: Siena, Fano, Riccione, Rimini (Lagomagico). Insomma, ha calcato con intelligenza l’attuale serie. Non appena si rese conto di non avere i numeri per sfondare, inizia a lavorare, diventando un agente di commercio di indubbio successo. Sposato, una figlia, oggi Giorgio Pasquinelli ha 66 e fino ai 60 è stato il responsabile del settore giovanile del Morciano. Insieme a Luciano Petruccioni ebbe l’idea di onorare la memoria di Carlo Brigo, intitolandogli il prestigioso torneo conclusosi il 18 maggio con la vittoria del.
Il suo Morciano ha vinto il Brigo due volte, una volta sconfiggendo il Cesena in finale per 5-4 ai rigori. Afferma Pasquinelli: “Sono stato molto fortunato perché oltre al Brigo, col settore giovanile abbiamo sempre fatto una bellissima figura. Ma la cosa di cui sono più orgoglioso è la conquista di due Coppe Disciplina. Con me hanno collaborato persone ottime, come Petruccioni, Carlo Ghigi, Zaccarelli, Gianni Romani ed i genitori”. Un anno ben 6-7 juniores di Pasquinelli debuttarono in prima squadra. Molti i ragazzi di talento passati nei suoi 20 anni di attività. Qualche nome: Baldi (B, attuale allenatore del Morciano), Giuseppe Signorotti, Sanchi, Federici, i fratelli Ronci, Stefano e Davide (l’unico morcianese che gioca nel Sanclemorciano), Tamagnini. Il segreto per fare bene coi ragazzi? Pasquinelli, il saggio, che amava uscire fuori dai pali ed ha avuto un campione in famiglia, il nipote Manuel Gerolin, ex Roma, ora dirigente dell’Udinese: “Coinvolgere i genitori. Poi è creare l’amicizia con i ragazzi per fare il cosiddetto gruppo. E spiegare le ragioni a chi non gioca. Infine, ci vuole la capacità di motivare. Spesso bastano uno sguardo e poche parole”.