di Francesco Toti
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– In economia bisogna credere nelle cose che si fanno. Credere in se stessi. Credere nella forza delle proprie tradizioni. Fare dei propri prodotti culinari un valore aggiunto per il turismo in un momento in cui il turista si sposta in cerca della tipicità e della genuinità. La Provincia di Rimini sta spingendo forte su questo tasto. L’ultima iniziativa nata si chiama “Dai profumi del la terra ai sapori del mare”, ovvero sensibilizzare al consumo ed alla vendita i nostri vini ed il nostro pesce azzurro. Presentata lo scorso 9 giugno al Grand Hotel di Rimini, l’iniziativa si propone di sensibilizzare i cittadini, albergatori e ristoratori a consumare i vini riminesi ed il nostro pesce azzurro. Insomma: la cultura e la tradizione di Romagna.
Paradossalmente i primi ad apprezzare i prodotti apparentemente “poveri” sono state le classi più agiate, come la pizza, i mobili Tonet, la longchaise di Le Courbusier. Da qui, poi, si sono diffuse sul resto della gente.
Sul palco dei relatori, per l’elogio dell’accoppiata, c’erano autorità e professionisti di prestigio. Massimo Foschi, assessore provinciale all’Agricoltura: “La standardizzazione della modernità va a discapito della tipicità. Chi va in vacanza ha aspettative sempre più elevate e vuole trovare i prodotti del territorio che visita. Mentre da noi trova il pesce d’importazione”.
Roda, presidente dell’Enoteca dell’Emilia Romagna: “Per promuovere i nostri vini siamo partiti 5 anni fa. E’ stata una splendida avventura per portarli alla ribalta. Il vino è emozione, aneddoti, leggende di quel determinato luogo. Credo che siano stati fatti molti passi in avanti”.
Maurizio Temeroli, direttore della Camera di Commercio di Rimini: “Il progetto di qualificare i nostri vini continua: con la qualità che è sempre in crescita”.
Giuseppe Chicchi, amministratore delegato dell’Apt (Azienda promozione turistica dell’Emilia Romagna): “I Felliniani sono vini all’altezza del nome che portano. Il successo di Fellini è l’aver portato il tema della provincia in giro per il mondo. Ma della provincia non la dimensione locale, ma universale, cogliendone gli elementi comuni al mondo. Abbinarne i vini penso che sia stato un ottimo strumento di marketing. I Felliniani hanno indicato un percorso: il marketing del territorio. Con l’eno-gastronomia che fa crescere l’immagine della destinazione turistica”.
Gilberto Polloni, antropologo colto quanto garbato: “Raccontare la memoria delle tradizioni attraverso i prodotti agricoli intrica il mondo dei consumatori”.
Albergatori e ristoratori hanno posto in un angolo vini locali e pesce azzurro: troppo poveri per essere consigliati ai clienti. Maurizio Cecchini, giovane presidente degli albergatori di Cattolica: “Onestamente non è semplice offrire il pesce azzurro: o piace moltissimo o non piace affatto. Mentre sogliola o coda di rospo sono più popolari, universali. Però negli ultimi anni c’è stata una riscoperta. Addirittura c’è qualche ristoratore che usa il pesce azzurro per fare i sughi”.
Marco Giovannini, anch’egli giovane, presidente degli albergatori a Riccione: “Più che una discussione c’è una crescita. Noi, a Riccione, nei corsi di gastronomia, abbiamo questi temi molto presenti. Ad esempio i 54 alberghi che hanno aderito a Legambiente hanno l’obbligo di proporre i nostri prodotti. A Riccione ci sono hotel che offrono sarde e sgombri”.
Celotti: “La colpa è anche delle mamme”
– Mario Celotti, titolare del ristorante “Tuf Tuf” di Morciano, uno tra i locali più blasonati del Riminese, è il presidente dell’Amira (l’associazione che raccoglie i maitre della Romagna, in pratica l’élite della ristorazione). Provocatorio e riflessivo come sempre. “E’ anche colpa delle mamme se il pesce azzurro è stato dimenticato. Queste hanno disimparato a cucinarlo, non abituando i figli ad apprezzarlo. Si pensava che le proprietà alimentari fossero inferiori a quelle del cosiddetto pesce più pregiato. Oltre al costume, le colpe le hanno anche i ristoratori, che hanno pensato che servire il pesce azzurro era come offrire un prodotto di poco pregio. Conseguenza: la paura mista a vergogna di farselo pagare come il prodotto merita. Il pesce azzurro rappresenta la tradizione culinaria della nostra zona; facile da cucinare ma richiede tempo. Un altro elemento a suo sfavore nella ristorazione è la conservazione. La sua bontà è tale soltanto quando è fresco, altrimenti diventa amarognolo”.
“Noto con piacere – continua Celotti – l’iniziativa di valorizzare insieme pesce azzurro e vini. I secondi prima erano snobbati, ora sempre più sono consigliati ai clienti”.
Antipasti, uguali in ogni albergo e ristorante
– Franco Mazzocchi, ex sindaco di Cattolica, ex direttore della Casa del Pescatore di Cattolica, oggi presidente del Consorzio mitilicoltori (allevatori di cozze) dell’Emilia Romagna, argomenta: “Nella stragrande maggioranza dei ristoranti c’è una standardarizzazione negli antipasti di pesce e non sempre vengono serviti i nostri prodotti.
Non c’è quasi differenza in un ristorante da 80 euro o da 40: tutto uguale. E’ mai possibile? Per qualificare l’offerta turistica ci vuole fantasia e professionalità per il recupero delle nostre tradizioni ed anche della stagionalità. Mi spiega meglio. Come in determinati periodi dell’anno si trova certa frutta e certi ortaggi, così anche nel pesce. Ci sono specie che sono ottime in certi periodi dell’anno e meno buone in altri mesi. Ad esempio perché ci devono servire le triglie in piena estate quando il periodo migliore è da settembre a novembre. Da maggio ad agosto sono eccellenti le sarde, gli sgomberi, le saraghine. Mentre i sardoni danno il meglio in inverno. Sono del parere che alcuni ristoranti debbano recuperare la tradizione e la stagionalità.
c’è più tradizione e stagionalità negli ultimi anni? Mazzocchi: “Non è stato fatto nèé un passo in avanti, né un passo indietro. Si è fermi agli anni ottanta. Mi rendo conto che è difficile imporre le idee. lancio due domande: quanti ristoranti hanno in menù la seppia coi piselli o il nostro brodetto? (non la zuppa).
Ed abbiamo anche che gli ottimi garagoli restano invenduti. Credo che amministarzioni ed associazioni debbano insistere nell’opera di sensibilizzazione, altrimenti col tempo si va a disperdeere un patrimonio. Nel mangiare c’è una parte fondamentale della cultura di un territorio. Dall’altra parte abbiamo che i giovani sempre più apprezzano gli antichi sapori”.