di Silvio Di Giovanni
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1949-’50, Cattolica Monte Vici. 1° Maggio Festa del Lavoro. In piedi da sinistra: Del Prete, Pietro Molari ‘Pimpi’, Mario Chelotti, Domenico Boga, ?, ?, Monticelli, Giuseppe Francolini, ?, Novilio Cesarini, Eugenio Sabattini, Antonio Del Fattore ‘Marasce’, ? (faccia del bambino), Bruno Chelotti, Salvatore Molari, Giuseppe Cecchini ‘Peppino Ciciacota’, Salvatore Galluzzi ‘Tori’. Seduti in seconda fila da sinistra: Primo Gennari ‘Corlaita’, Aristodemo Filippini, Dino Bianchini, Leardini (il bambino in piedi), Lucio Pritelli, ?. Seduti in prima fila da sinistra: Domenico Pritelli, Bruno Venturini. (Foto: archivio Centro Culturale Polivalente di Cattolica)
– Com’era bella la festa del Primo Maggio nei primi anni del dopoguerra! Forse perché permeata anche dagli incanti della giovinezza?
Il pomeriggio si andava al Monte Vici a piedi con le sporte del mangiare cariche di quel po’ che in quegli anni si poteva rimediare: il pane, il ciambellone, le verdure già preparate e lavate, un fiasco di vino e i garagoli già cotti e ben pepati che facevano dire a un vecchio compagno di mio padre: ? “..a ho magnè al pevara si garagul”.
Intere famiglie percorrevano la “nazionale” passando sotto il “ponte di ferro” in fondo alla Via Mazzini (che era l’unico sottovia esistente per attraversare la ferrovia), fino al bivio per la vecchia fornace Verni, svoltando a sinistra (dove ora c’è il complesso di fabbricati con uffici, negozi e supermercato); percorrendo poi la salita della Via Torconca che divide a sinistra il Comune di San Giovanni da quello di Cattolica sulla destra, si arrivava in cima alla collinetta cosiddetta del “Monte Vici”.
Durante il percorso di andata i gruppi di persone si snodavano in maniera sparpagliata e disordinata e i genitori sovente, nel tratto della nazionale, richiamavano noi ragazzi: “stè atenti, pasè rasenta al fos che al pasa li machine”. La strada nazionale era infatti l’arteria sulla quale iniziava un certo traffico di autoveicoli che cominciava a costituire un pericolo di incidenti.
Nel percorso si lambivano i campi con l’erba medica alta e rigogliosa e di tanto in tanto ci si inoltrava per strappare i lupini eludendo la vigilanza dei contadini che non volevano perché si schiacciava il foraggio in piedi. Sullo spiazzale davanti al vecchio fabbricato dei Vici in cima alla collina si collocava la Banda Cittadina che intonava “l’inno dei lavoratori” e altre musiche della appena passata esperienza partigiana alternate da marcette e musiche folcloristiche.
Le donne di casa stendevano sull’erba le tovaglie apparecchiando nei prati e nei campi circostanti e le famiglie consumavano la parca merenda con lunghe e appassionate discussioni e considerazioni politiche e sociali. Davanti alla banda i giovanotti e le ragazze abbozzavano qualche salto di danza.
Noi ragazzini scorrazzavamo nella boscaglia tra le felci e le piante alte e fitte della ripida parete verso mare della collinetta ove, nascosto tra la vegetazione erano anche i resti di un fortino in cemento armato che i tedeschi avevano costruito nella previsione di dover contrastare, con l’ausilio dei cannoni, un eventuale sbarco alleato dal mare.
Al ritorno si seguiva il corteo abbastanza ordinato preceduto dalla Banda al suono solenne della fanfara ed allo sventolio delle bandiere, si occupava mezza strada, fino a raggiungere il piazzale “Primo Maggio”. Qui gli oratori si alternavano in piedi sul piano rialzato del corpo di fabbricato, a lato del Grand Hotel che alcuni anni fa hanno purtroppo demolito per sostituirlo con un corpo metallico, informe e di dubbio gusto. I comizi venivano diffusi dagli altoparlanti collocati in alto sulla terrazza ed agganciati anche ai pali della piazza dai fratelli Magnani che avevano il loro negozio della radio e la bottega in Via Pascoli.
I nostri genitori non avevano nemmeno una lira in più nelle tasche, si viveva infatti in un clima di ristrettezze, basti pensare che fino al 1948 vi sarà ancora il tesseramento alimentare, ma si viveva anche un’epoca di grandi speranze.
Da poco si era riconquistata la libertà, che per più di un ventennio era stata inibita dal fascismo, che aveva proibito anche la festa del Primo Maggio, tra le tante sventure, oltre ad aver condotto l’Italia in una tragedia spaventosa.
Il Primo Maggio, va ricordato per i più giovani, è la festa internazionale del lavoro iniziata nei paesi industrialmente più progrediti nel penultimo decennio del XIX secolo.
E’ scaturita da una serie di lotte dei lavoratori per la conquista delle otto ore di lavoro giornaliero e la data fu scelta nel 1889 nel congresso della Seconda Internazionale a ricordo ed in memoria dei cosiddetti “Martiri di Chicago” del 1886.
Erano queste nostre feste di allora la esplosione della gioia di rivivere dopo ciò che era stata la immane tragedia che era seguita al periodo più nero della nostra storia del primo Novecento. La gente finalmente tornava a cantare e sperare sotto le bandiere delle grandi idee.
Purtroppo nel 1947 ebbe subito inizio un processo di disgregazione di quella mirabile unità di italiani. A nulla valsero, già nel gennaio, gli appelli di Sandro Pertini e di Lelio Basso all’unità dei socialisti al Congresso del partito nella città universitaria di Roma. Avrà luogo la scissione di palazzo Barberini, su iniziativa di Giuseppe Saragat, che sarà il primo passo verso la rottura di quella speranzosa epopea di unità di tutte le forze antifasciste che era stata il cemento della Resistenza e della guerra partigiana.
Avremo poi l’inquietante episodio delittuoso del Primo Maggio 1947 a Portella della Ginestra, non lontano da Palermo, ove la banda del bandito Giuliano, che con oscuri disegni e al soldo di interessate personalità imperversava nella Sicilia, compirà una strage di persone inermi con i fucili mitragliatori su un festoso corteo popolare che nei campi celebrava la festa del lavoro. E ancora nel 1947 la cacciata delle “Sinistre” dal Governo di Unità Nazionale e poi nel 1948 la rottura del fronte sindacale, saranno tutti accadimenti che costituiranno purtroppo una dolorosa rottura per gli anni a venire che, fra l’altro, impedirà anche di festeggiare in maniera unitaria il Primo Maggio.
Ci ricordiamo infatti che negli anni che seguirono la ricorrenza del primo maggio veniva celebrata solo dai comunisti, dai socialisti e dal sindacato di sinistra. Per molti anni ancora sarà una festa sentita solo da una parte degli italiani, almeno qui da noi, come io mi ricordo. Poi ridiventò la festa di tutti, la festa del lavoro, la festa dei lavoratori.
Oggi molta acqua è passata sotto i ponti, le grandi ideologie hanno mostrato il loro aspetto utopistico e ci è rimasta nel cuore la più grande illusione di tutti i secoli. I grandi ideali di fraternità tra i popoli paiono naufragare nell’incalzare dei dolorosi eventi, riaffiorano gli
orizzonti di guerra.
Studio pane della mente
– La festa del lavoro rimane e deve rimanere la festa di tutti gli uomini di buona volontà e l’ideale di riferimento per le giovani generazioni, così come dedicata agli alunni delle scuole elementari di Cattolica il 1° Maggio 1909 dall’allora sindaco Vincenzo Mancini, con il suo decalogo, che è bene riportare ancora perché sempre attuale, così come ha fatto questo giornale qualche anno fa e così come il nostro carissimo concittadino, professor Guido Paolucci, che lo ha fatto conoscere ad Indro Montanelli che lo pubblicò sul Corriere della Sera.
Il suo decalogo:
1) Ama i compagni di scuola, che saranno i tuoi compagni di lavoro per tutta la vita.
2) Ama lo studio che è pane della mente e sii grato a chi ti insegna.
3) Onora le persone buone, rispetta tutti, non curvarti a nessuna.
4) Più che il rimprovero altrui, temi quello della tua coscienza.
5) Non odiare, non offendere, non vendicarti mai; difendi il tuo diritto e non rassegnarti alla prepotenza.
6) Non commettere bassezze, viltà; difendi i deboli.
7) Ricordati che i beni della vita sono frutto del lavoro; goderne senza far nulla è come rubare il pane a chi lavora.
8) Osserva e medita per conoscere la verità; non credere ciò che ripugna alla ragione.
9) Ama la patria, odia la guerra che è avanzo di barbarie.
10) Augura il giorno in cui il lavoro affratellerà tutti gli uomini e cadute le barriere fra le nazioni, la pace, con le sue ali candide, sorriderà nel mondo.
Silvio Di Giovanni