di Francesco Pagnini
E di qui, a mo’ di corollario, spiaggia solo come balneazione o come mèta di locali notturni, piscine, ristoranti e chi più ne ha più ne metta? E ancora i rumori: la musica deve spegnersi ovunque alla stessa ora? Ci devono essere delle “isole” in cui il concertino può andare avanti di più? E qual è, ad ogni modo, l’orario migliore per interromperlo?
Interrogativi, tutti, contenuti in quello fondamentale: Rimini auspica un turismo fatto di famiglie o di giovani che vogliono divertirsi, e divertirsi all’avanguardia? Una domanda tutt’altro che retorica, perché dietro ad essa si nasconde anche un altro interessante interrogativo: quello del chi vuole cosa. Quali categorie, portatrici di quali interessi, vogliono un tipo di turismo piuttosto che un altro? E cosa vogliono invece gli amministratori pubblici? E qual è il quadro normativo all’interno del quale tutti questi attori si muovono?
Forse è possibile rispondere con una sola parola a tutte queste domande: confusione. L’intero quadro di questa situazione è confusionario come confusionaria è stata l’estate che volge al termine, e che il sindaco di Rimini Alberto Ravaioli ha definito “di transione”. Come confusionarie, contraddittorie, non definitive, impugnabili, sono le miriadi di leggi esistenti su un qualsivoglia argomento. Basti pensare all’arenile.
E ripercorrerla, questa estate torrida non solo per le temperature, può essere utile per capire che cosa si stia movendo sulla spiaggia, su tutta la riviera. La grande apertura è stata all’insegna del Turquoise, il locale riminese che è sinonimo di innovazione. Perché col Turquoise è nato il primo vero stabilimento balneare riminese: riunendo tre dei vecchi bagni, è nato un impianto in cui c’è tutto. In cui il turista è seguito dalla colazione al bombolone del dopo ballo, passando per i servizi di spiaggia, l’animazione, il momento del benessere, la palestra, la ristorazione, tradizionale o di tendenza, come si preferisce.
Ma col Turquoise sono arrivati subito i problemi. Perché lo stabilimento è nato in assenza di quel Piano Spiaggia del quale gli amministratori (non solo di Rimini, di tutta la riviera) parlano, senza però mai redigerlo. Via quindi con l’intervento della Soprintendenza che ha bloccato tutto. Ma se la Soprintendenza è stata in qualche modo accontentata, non altrettanto si può dire per vasti settori del mondo economico. A partire dal Silb. “Quella è una discoteca in piena regola ha tuonato il presidente dei discotecari Sergio Pioggia e questa è concorrenza sleale nei nostri confronti”.
Fatto particolare è che, quando il ministro Carlo Giovanardi ha rilanciato (per l’ennesima volta, e invero dimostrando poca fantasia) la chiusura delle discoteche alle tre (senza deroghe) per motivi di sicurezza, lo stesso Silb si è affrettato a ribadire che la gente non la si manda a letto per forza, e che tanto la tendenza e la moda non si fermano per legge. Singolare allora che per legge (o per ordinanza comunale, la differenza è poca) quello stesso Silb pretenderebbe di mandare la gente nelle discoteche invece che nei locali in spiaggia.
E poi i bagnini. Come si fa – hanno detto – a far costruire una cosa così in spiaggia? La spiaggia serve per fare il bagno, non per certe inutili innovazioni. E poi chissà quante regole sono state violate. Peccato che poi, quando si è parlato di gonfiabili, e ai bagnini è stato fatto notare che si ingerivano nell’attività dei giostrai e operatori ambulanti del divertimento, si sono a loro volta scagliati contro coloro che vogliono fermare l’innovazione indispensabile per il turismo. Non da meno si dimostrano gli albergatori. L’anno scorso proposero la realizzazione di piscine in spiaggia, cioè su aree non loro. Quest’anno che sulla spiaggia qualcuno si è mosso, anche se in altro modo, hanno tuonato perché il rumore non consentiva ai loro clienti di dormire.
Un altro temine legato alla spiaggia? Rimini e i suoi operatori turistici sono cresciuti con le cambiali e il lavoro, certo, ma anche col lavoro nero. E ora sono diventati i più strenui difensori della legalità quando si parla di vù cumprà. Salvo poi puntare il dito contro gli organi ispettivi se i controlli nelle loro strutture sono ripetuti o si verificano alla vigilia di Ferragosto.
La morale è semplice: ognuno è bravo a casa degli altri. Ma guai quando si tocca il suo orticello.
Ma al di là dei piccoli litigi di bottega, interessante è il motivo (quello vero) che li provoca. E il motivo vero è il modello turistico. Il tipo di turista che si vuole. E qui l’albergatore vorrebbe famiglie tranquille, che alla sera vadano a letto presto così da lasciarlo più tranquillo, e che durante il giorno se ne stiano in spiaggia. Il ristoratore vorrebbe coppie di professionisti che vadano a cena fuori ogni sera. Il discotecaro gruppi di giovani, ma non giovanissimi, che vadano a ballare ma senza fare casino. E intanto cosa succede? Succede che il turismo cambia, ma a modo suo, non secondo i desiderata di questo o di quello. La cosa tragica è che invece, quasi tutti gli imprenditori turistici, continuano ad andare dietro a quei desiderata senza curarsi di ciò che i turisti desiderano. E se non saranno accontentati, faranno di Rimini un lido sempre più desertico.
Piaccia o non piaccia il turismo stagionale è questo. Nessun’altra via? Una forse sì. Trasformare quello riminese in un turismo maturo. E destagionalizzato. Con infrastrutture e strutture alberghiere all’avanguardia. Così da recuperare un turismo d’affari e di qualità, in grado di chiudere i buchi di un turismo balneare sempre più stanco. Ma anche in questo caso non si può certo pensare di andare avanti con questa idea di imprenditori, attenti solo al proprio orticello. Servirebbero se mai operatori maturi e pronti ad investire, e rischiare, come in qualsiasi altro campo e a misurarsi con la concorrenza internazionale.