Sono tre strozzature nello sviluppo dell’economia riminese causa il “conflitto di interessi”?
di Francesco Pagnini
– Certo vedersi tagliare un metro di giardino o di orto può dare fastidio. Così come avere più automobili che ti girano attorno a casa. O sentire la musica dei locali fino a tarda ora in estate.
Ma magari bisognerebbe anche pensare che questi (indiscutibili) disagi, sono frutto di un’economia e di progetti infrastrutturali importanti per tutta la comunità. E che bloccarli per il proprio “particulare” forse non è la cosa più saggia. Anche perché se ognuno facesse così l’intero sistema sociale si bloccherebbe.
C’è un esempio lampante nel celeberrimo romanzo “Il dottor Zivago” di Boris Pasternak: il protagonista rompe un pezzo di uno steccato con l’intenzione di bruciarlo, perché c’è la neve e ha freddo. Vuol scaldarsi. Ma un altro personaggio lo apostrofa (più o meno) così: ‘Se ogni moscovita facesse come te in una settimana tutte le case di Mosca, che sono fatte di legno, sarebbero distrutte’.
Il metrò di costa
Ora tutti se la prendono con gli amministratori locali. Che, per carità, avranno le loro colpe. Ma giova ricordare che la perdita di finanziamenti statali che di fatto mette a serio rischio al realizzazione del Trc, è dovuta ai ritardi, e i ritardi sono stati conseguenti ai ricorsi al Tar (Tribunale amministrativo regionale) fatti da alcuni frontisti. Gente cui sarebbe stato espropriato qualche metro di giardino, e che avrebbe avuto il passaggio dei convogli vicino a casa. Come peraltro centinaia di altre famiglie di Rimini (e di tutto il mondo) che si vedono dalla finestra il bel panorama della ferrovia.
Certo non fa piacere a nessuno, ma in questo caso, a fronte dell’opposizione di poche decine di persone che, raccolte in un comitato, hanno fatto i ricorsi, è stata bloccata un’infrastruttura che avrebbe avuto un’indiscutibile utilità per i pendolari, e sono centinaia, che tutti i giorni devono spostarsi da Cattolica, Misano, Riccione, verso Rimini, e viceversa. E che continueranno quindi a farlo in macchina, bruciando benzina, inquinando, rischiando incidenti.
Il teatro Galli
Era stato il sindaco Giuseppe Chicchi a far partire l’iter per ricostruire il teatro distrutto dalle bombe nel ’43. Un iter delicato, soprattutto per il reperimento dei finanziamenti. Per la progettazione si opta per un concorso di idee, vinto dall’architetto fiorentino Adolfo Natalini. Che progetta un’infrastruttura funzionale alle varie necessità di un teatro moderno e di una città poliedrica come Rimini. E soprattutto a norma con le leggi. Ma, hailui, non completamente identica all’originale teatro progettato nell’800. Subito scatta la protesta, anche in questo caso nasce un comitato, per il teatro “Com’era e dov’era”: un gruppo di persone chiede che sia ricostruito filologicamente. Si raccolgono firme per un referendum, si fa un girotondo (in tempi non “morettiani”, forse il primo della storia), e appena il centrodestra vince le elezioni nazionali si chiama l’allora sottosegretario ai beni culturali Vittorio Sgarbi che sostiene che il progetto Natalini non è praticabile. Se tutto fosse andato liscio, a quest’ora Rimini avrebbe un teatro. Invece, per l’opposizione di qualche centinaio di persone, i 270mila residenti in provincia non ce l’hanno e il Comune di Rimini ha speso nove miliardi di lire per il progetto, inutilmente.
Il Palazzo dei congressi
Certo, in questo caso specifico, anche la politica ha dato un pessimo esempio di sé, facendo passare anni prima di decidere dove fare il centro congressi, ormai indispensabile per la destagionalizzazione di Rimini e provincia. Ma non appena la decisione è stata ventilata, e cioè l’area della vecchia fiera, sono saltati fuori comitati di ogni angolo della città, rivendicando che l’infrastruttura doveva essere eretta nella loro zona. Ovvio il motivo: sfruttarne l’indotto. Ma c’è anche chi, come un comitato nato nella zona della vecchia fiera, non lo vuole, il palazzo dei congressi.
Perché porterebbe confusione, macchine. E si sa, nella calma si vive meglio. Un’altra ipotesi, quella di utilizzare le aree in fregio alla stazione ferroviaria, vede l’immediata levata di scudi, invece, del Dopolavoro Ferroviario, che lì ha le sue strutture ricreative per sport e tempo libero. Fino al referendum, realizzato in seguito all’impegno di un comitato capeggiato dal noto albergatore Franco Albanesi, per fare il centro al Marano. Costo oltre quattrocentomila euro, affluenza alle urne, 5.700 persone. Una spesa (pubblica) di 70 euro l’uno. Caro, carissimo referendum…
La perdita vera però sta nel fatto che tutto questo frena la decisione, e intanto, sul turismo congressuale, si perdono presenze e i concorrenti crescono.
Ma se questi sono i tre esempi più eclatanti, altre situazioni non mancano. Basti ricordare la darsena di Rimini, i cui lavori hanno subito un periodo di blocco per l’opposizione di un pescatore che non voleva perdere il suo capanno, senza contare poi l’estenuante trattativa precedente coi bagnini.
O il Centro Agroalimentare, fermato per settimane da un gruppo minoritario di rivenditori che non volevano spostarsi dal vecchio mercato ortofrutticolo.
O, ancora più genericamente, tutti coloro vivono nella zona mare e pretenderebbero, in estate, il coprifuoco a mezzanotte spaccata. Mentre i turisti, magari, vogliono divertirsi qualche ora in più. E di questo c’è gente che ci vive.
Atteggiamenti, insomma, che con le debite proporzioni ricordano quelli del dottor Zivago. E il dramma vero è che dalla classe politica nessuno ha il coraggio di rispondere come l’interlocutore del libro: ‘Se ogni moscovita (o ogni riminese) facesse così…’.
LA RIFLESSIONE
Opere di livello europeo
Eppure qualcosa di muove. A Rimini si litiga molto, ma sono state alzate opere di livello Europeo negli ultimi 2 anni: la Nuova Fiera, la Nuova Darsena, il Centro Agroalimentare, il palazzetto dello sport. Ora occorre fare un piccolo sforzo, magari pensando a tutta la provincia e non solo a Rimini Città. Altrimenti, la Valconca, capoluogo Riccione, potrebbe chiedere il referendum per la costituzione di una nuova provincia.