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Home Località Tavullia

Gambini, un uomo di pace

Redazione di Redazione
3 Settembre 2004
in Tavullia
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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– Serafino Gambini è morto lo scorso 8 agosto, domenica. Aveva 92 anni, 7 figli (tutti i nomi iniziano con la lettera “A”: Antonio, Alberto, Alberta, Antonietta, Agnese, Alfredo) ed ha vissuto come uomo di pace e vicino agli umili. Tutta Tavullia lo ha accompagnato al cimitero: donne, uomini, anziani, bambini. Gente di destra, di sinistra, di centro. Un abbraccio che testimonia la sua vita: sincera, aperta, quanto battagliera. Capace di farsi voler bene perché persona giusta, ma con le proprie idee da argomentare e portare avanti con ardore. Ad esempio, era solito regalare ai clienti che acquistavano il Corriere della Sera, il quotidiano della borghesia illuminata, Liberazione, il giornale di Rifondazione comunista.
E’ stato un personaggio prima di Valentino Rossi, che bambino andava a comperare le figurine nella sua bottega.
Un personaggio a Tavullia e fuori. Era solito scrivere, con il candore di un fanciullo, lettere di pace ai giornali Pravda (Unione Sovietica) e New York Times (Stati Uniti), alle testate italiane, ai capi dei partiti. Per certi versi, centro Tavullia, ha avuto una vita eccezionale; e di certo è stato una delle coscienze della sua comunità: capace, onesto, ricco di ideali.
Uno degli 8 figli del calzolaio del paese, Serafino Gambini era nato al castello della Tomba (così si chiamava Tavullia) nel 1913. La sua mente sveglia frequenta fino alla terza elementare; cosa rara per uno della sua classe sociale ai tempi, rispetto ai contadini delle campagne ed a tanti suoi concittadini. Impara il mestiere del babbo (le scarpe nuove che lo hanno accompagnato nell’ultimo viaggio se le era risuolate due anni fa), a fare il barbiere.
Da 50 anni, proprio davanti al Valentino Fan Club di Tavullia, è stato il signore di una bottega dove si vendevano le scarpe, si facevano barba e capelli, si vendevano i giornali, si giocava al Totocalcio. Soprattutto era un salotto dove si discuteva di tutto, dagli argomenti più impegnati fino a quelli più leggeri: giustizia, dell’uomo, di politica, di sport. E ci si poneva la domanda: a che cosa serve l’uomo? I segni dei mestieri si leggono ancora oggi che è soltanto edicola: una sedia di barbiere, la forma delle scarpe. Alle pareti molte foto di Tavullia.
Autodidatta innamorato di Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Giacomo Leopardi, sempre elegante, suonatore di clarinetto nella banda del paese, la pace e lo stare dalla parte dei poveri, Gambini l’ha messa in campo facendo politica. Negli anni sessanta è stato vice-sindaco comunista di Tavullia. Una politica fatta di molto sociale ed intuizioni attualissime: la circonvallazione attorno a Tavullia, la ricostruzione della torre civica. Era solito dire: “La torre rappresenta la testa di un paese”.
Anticlericale con un amore per papa Giovanni XXIII, compagno di briscola e tressette col prete al bar, un’altra delle sue passioni era scrivere ogni giorno un pensiero su un fogliettino che era solito firmare col nome ed infilare in un chiodo. Gli ultimi: “Ringrazio per quello che ho vissuto”, “Da oggi basta”, “Il capitalismo ha rovinato il mondo”, “Fate il meglio”, “Non ho combattuto il sistema, l’ho capito”.
Grande comunicatore, la capacità di attaccar bottone con chiunque, geloso delle sue cose, dopo la famiglia l’amore più grande era per Tavullia. Un amore disinteressato. Aveva scritto una poesia: “Tavullia fra cielo e mare circondata di verde / la vorrei vedere sempre ordinata e pulita / Mi è stata sempre cara”. Aveva fatto stampare 500 cartoline con una vecchia immagine del paese con sotto i suoi versi. Le ha regalate ai suoi compaesani ed ai tanti affezionati che abitualmente si fermavano ad acquistare il giornale nella sua bottega.
Era solito raccogliere immagini, documenti e testimonianze su Tavullia. Grazie alle sue foto sono stati pubblicati molti libri su Tavullia. Lo scorso 8 agosto se n’è andato una persona fuori dal tempo ma dentro la grande storia dell’umanità. “Che la terra gli possa essere lieve”.

di Giovanni Cioria

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