Ma questa volta la posta è troppo importante perché sia il caso di sorvolare elegantemente su quanto avevo recentemente scritto su questo mensile.
Mi riferisco, anzitutto, al “no” del presidente Ciampi alla legge Gasparri. Ciampi ha detto chiaro e tondo che la legge Gasparri: 1) favorisce la creazione di una posizione dominante nella tv impedendo il pluralismo delle voci; 2) procura troppa pubblicità alle già opulente emittenti televisive, a danno della già languente stampa quotidiana; 3) non assicura, a causa del difficile e lontano (2008!) impianto della tv digitale, l’effettiva moltiplicazione dei canali voluta dalla legge vigente e dalla Corte Costituzionale (questione Rete4).
Di questa fermezza costituzionale di Ciampi non avevo mai dubitato, tanto che un attento lettore della “Piazza”, il colto e garbato V.V.
di San Giovanni, contrariato dalle promulgazioni della legge sulle rogatorie e della Cirami, mi aveva criticato a causa della mia eccessiva fiducia nel Quirinale. Di come stavano le cose mi ero reso conto nel luglio 2002, sì da intitolare sul “Ponte” dell’agosto-settembre 2002 il mio articolo sull’ atteggiamento di Ciampi in materia di televisione Lo “strappo” tra Ciampi e Berlusconi. A proposito del messaggio presidenziale alle Camere del luglio 2002 sulla tv, prova dello “strappo” secondo me avvenuto allora, scrissi infatti: “L’affrettata controfirma del presidente del Consiglio e i banchi vuoti del governo e della maggioranza il giorno della lettura del messaggio di Ciampi dimostrano che si cercherà di confezionare una ‘legge di sistema’ congegnata in modo da lasciare pressoché intatta nelle mani di Berlusconi la principale arma della sua azienda-partito, quella mediatica”. Sia quella privata sia quella pubblica, ovviamente.
Sulla legge delle rogatorie e sulla legge Cirami, il presidente della Repubblica aveva semplicemente svolto un’azione di persuasione morale, tanto efficace che poi la Cirami non ha salvato dalla magistratura milanese gli imputati eccellenti che sappiamo (e in Forza Italia si levarono voci contro chi aveva accettato la persuasione morale di Ciampi). L’inquilino del Quirinale promulgò entrambe le leggi anche perché qualche costituzionalista di vaglia ne aveva sostenuto la conformità alla Costituzione. Nel farlo, però, Ciampi, già orientato contro la Gasparri e il trucco in essa contenuto relativo a Rete 4, si garantiva contro ogni sospetto di ostilità preconcetta nei confronti della Casa delle libertà. Di qui l’efficacia e la forza della sua decisione di rinviare alle Camere la Gasparri, da lui criticata nell’impianto stesso!
Ora il presidente del Consiglio ha firmato un decreto che avvantaggia un’azienda di sua proprietà, fatto mai accaduto in nessuna democrazia parlamentare del mondo, e che rinvia di quattro-cinque mesi la questione. Preoccupa il fatto che egli abbia dichiarato di non voler leggere le osservazioni del Quirinale, ma ormai in Italia non ci si può meravigliare più di nulla.
Mentre Ciampi rinviava alle Camere la Gasparri, la magistratura torinese incriminava il faccendiere Marini per calunnia nei confronti di Prodi (“mortadella”), Fassino (“cicogna”), altri capi dell’Ulivo e persino alti prelati, sul cosiddetto affare Telekom Serbia. Per settimane e settimane gli organi di informazione del centrodestra avevano battuto la grancassa a suon di mortadelle e di cicogne.
*Professore di Storia
del Risorgimento
all’Università di Ferrara
di Alessandro Roveri