Equipaggio: Guerrino Maltoni (‘al Mischin’) – capitano, Sebastiano Maltoni (‘Bas-cien d’Mangarol’), Elio Maltoni (‘Lelo’) – motorista, Piero Luccarelli (‘Curier’).
Siamo andati a pescare la mattina con mare da levante e tempo scuro con altre due barche i “4 Fratelli” dal ‘Ciusot’ e una delle due barche dei fratelli Bertozzi i ‘Finali’. Non ricordo se fosse “l’Erbio” o il “Garbino” e ci siamo fermati per la pesca a un miglio e mezzo dal porto. Si pescava con rete a tartana e si prendeva abbastanza pesce; era, come detto, un mare di levante da terra e quando prendemmo il tempo cattivo eravamo tra due onde e da terra non si vedevano neanche gli alberi della barca. Pescammo tutto il giorno dalla Vallugola al Conca e quando si è fatta sera le altre due barche sono andate in porto prima che facesse notte. Io ero al timone, mentre gli altri marinai erano a poppa intenti nella cernita del pesce, questa operazione era di grande soddisfazione perché si prendeva molto pesce, un po’ di tutte le qualità: tremoli, baracole, mazzole, canocchie. Quel giorno la pesca era stata abbondante.
Mentre le barche andavano a terra perché il tempo si era fatto minaccioso, dissi a “Lelo” il motorista: “Lelo, non è ora di andare a terra anche noi?”. Rispose: “Adesso finiamo la calata, salpiamo e andiamo anche noi verso il porto”. Eravamo di fronte all’hotel Regina e pescavamo in giù piano con un motore da 25 cavalli. Nel frattempo la notte fu illuminata a giorno da un lampo atmosferico a 360°, da scirocco a ponente. Allora ho detto: “Guerda che ades al fa ‘l’azieda’ e al ven in tera al vent, bsogna ca salpena” (l’ho ripetuto). ‘Lelo’ risponde: “Avin fat, avin fat da ciarnì”. C’era anche l’interesse dovuto alla buona pescata e io ripetei nuovamente: “Tirenla su sta reda!”. Ricordo che dopo queste mie parole è arrivato il vento che di colpo ha strappato la nostra vela. Una vela nuova usata solo da due giorni; un ‘ghis’ bianco fatto dalla ‘Manghina’, “cl’è armast snò i ‘zerzana’ – allora a ho det: ferma!, sgrena l’elica!”.
A quel punto abbiamo incominciato a salpare, ma il cavo d’acciaio che era sottovento, si è incastrato nell’elica e non si riusciva più a procedere per tirare su la rete. Quindi l’unica decisione era quella di tagliare una delle due corde di traino legate alla rete e di salpare da una parte sola. ‘Lelo’ il motorista, ha preso un remo che era a portata di mano e con quello è riuscito a fatica a liberare il cavo d’acciaio dall’elica e dunque a salpare le reti con i divergenti. Poi disse: “Apri il boccaporto buttiamo tutto sottocoperta”. Allora abbiamo chiuso il boccaporto e messo in vela, a quel punto bisognava preparare le ‘spere’, perché il mare si era fatto minaccioso. Per fare queste ‘spere’ bisognava ritirare fuori le corde dalla rete ‘scavèz’ che erano purtroppo sottocoperta e quindi bisognava riaprire il boccaporto e riportare in coperta tutto il materiale già sistemato sotto la coperta della barca e legarlo a poppa per gettarlo in mare.
Intanto venivamo su piano, piano solo con il motore, eravamo tra Gabicce e la Vallugola, a una distanza di circa 500/600 metri dal porto, che nel frattempo, senza che noi lo sapessimo, in cima al molo si erano radunati molti curiosi in attesa del nostro arrivo. Io ero pronto con un marinaio a buttare via le ‘spere’ che erano legate con cavo d’acciaio al verricello. ‘Lelo’ era sottocoperta al motore, suo babbo il ‘paròn’ mi diceva: “Le spere le butti giù quando te lo dico io! dì ma ‘Lelo’ cal mèta al mutor al minime!” (il mare era diventato abbastanza tempestoso: la fine del mondo!).
Io dovevo stare a poppa dove erano preparate le ‘spere’ e loro mi dicevano: “Passa sotto i frenelli e vai all’osteriggio” che aveva lo sportello che non chiudeva completamente e allora bisognava tenerlo premuto perché altrimenti per le forti onde, l’acqua sarebbe penetrata sottocoperta. In un momento di calma del mare ‘valìa bona’ il ‘paròn’ disse: “Dai più fort!” e io dovevo stare in ginocchio, andando avanti e indietro per badare alle ‘spere’ e allo sportello! Il ‘paròn’ mi disse: “Nu guerda a popa” (perché il mare era troppo mosso). “Guerda sempre a prova” – e mi ai digh: “Insoma, quand a pos butè via li sper?”. A quel punto uno dei due mi dice: “Buta via li sper!” – e clelt: “Naaa! a tal digh mi!!” (non andavano d’accordo, uno diceva si e l’altro no). ‘Lelo’ era sempre al motore chiuso sottocoperta, io non sarei rimasto lì, perchè se la barca si fosse capovolta rimaneva imprigionato sotto. Eravamo alle ‘serre’ quando abbiamo ricevuto tre grossi colpi di mare, le persone che erano alle testate dei moli e seguivano le nostre manovre, in seguito mi hanno raccontato che osservavano con angoscia e trepidazione la nostra barca che un momento si vedeva e un momento no, perché nascosta dalle onde molto alte. Devo dire che siamo stati fortunati, perché i marosi non rompevano, c’è stata una modesta fuoriuscita di olio, un po’ di nafta, ma il mare non è mai stato estremamente pericoloso.
Quando siamo stati a cinquanta metri dal porto, sembrava che fosse bonaccia, la cosidetta ‘valìa bona’, allora il ‘paròn’ disse al motorista: “Dai fort ‘Lelo’, dai fort!”. Le ‘spere’ erano saldamente trattenute a poppa e la barca si muoveva vibrando, perché il motore aveva un cilindro solo. Siamo riusciti a fatica a entrare nel porto e devo dire che l’onnipotente quella volta non ci ha voluti. Sul molo di levante, ricordo che fra le persone che aspettavano trepidanti il nostro arrivo c’era anche il pescatore Mario Vanzolini ‘Busòn’, che ossservava la scena assieme alle altre numerose persone (circa duecento) all’altezza del ristorante ‘Levante’. Le onde del mare passando sopra la banchina hanno bagnato anche tutti gli astanti. “Jà fat tut al bagn, dal prima finenta l’ultme!”; infrangendosi paurosamente sugli scogli, sembrava un muro d’acqua! Dalla banchina di ponente altrettanta gente attendeva questo eccezionale ritorno fra lampi e tuoni.
La luce dei lampioni si era interrotta e la scena appariva ancora più ‘apocalittica’; sembrava che provenissimo da un viaggio nell’aldilà! E così fortunatamente siamo riusciti a venire in terra senza che ci accadesse nulla di grave, però sono rimasto a terra una settimana prima di riprendermi, avevo preso paura, poi piano, piano sono riuscito a superarla. ‘Lelo’ che aveva tre/quattro anni più di me, mi diceva: “Dai, che tanto ormai è passato, il mare è così…”. Infatti nonostante il pericolo, la profonda passione per questo mestiere ci ha dato la forza di continuare.
Racconto di Piero Luccarelli a cura di Sebastiano Mascilongo e Dorigo Vanzolini
[img align=left]http://www.lapiazza.rn.it/novembre 04/piero_lucarelli.jpg[/img]
Sulla destra Piero Luccarelli, presidente della Cooperativa casa del Pescatore, con Virgilio Pozzi, valente pescatore e capitano