La cerimonia si è tenuta a Montefiore lo scorso 5 novembre. Ecco come Alessandro Roveri, professore di Storia contemporanea a Ferrara, tratteggia l’amico Paolucci.
“Mi lega a Guido Paolucci un affetto caldo e intenso, che vedo e sento ricambiato. Esso non deriva da un rapporto di amicizia risalente all’infanzia né, di conseguenza, dalla frequentazione che si accompagna di norma a tale condizione. Guido è si fa per dire più giovane di me, e non possiamo dire di esserci frequentati molto. Anche adesso, ci si incontra di rado, lui a Bologna io a Ferrara, e a Cattolica abbiamo abitudini diverse.
L’affetto di cui parlo è di altra natura, più composita, perché concresciuto con la stima per lo scienziato di chiara fama internazionale che ha salvato tante vite infantili e, inseparabilmente, con la pronta sua disponibilità ad adoperarsi per chiunque, nella cerchia dei suoi concittadini ed oltre, abbia fatto ricorso alla sua professionalità o alle sue conoscenze in ambito medico.
Il collega mio riminese, ma ferrarese d’adozione, Marco Bertozzi mi è ancora grato per avergli fatto portare a Bologna da Guido la bambina malata di una patologia a Ferrara ignorata e da lui senza difficoltà definita e felicemente curata. Ma che dico di Marco? Se oggi la gamba sinistra, operata, mi funziona addirittura meglio della destra, non lo devo forse al chirurgo del Sant’Orsola-Malpighi al quale mi ha indirizzato Guido, permettendomi di usufruire di tutti i vantaggi di personale assistenza postoperatoria assicuratimi dall’amicizia tra il chirurgo e il professore Paolucci? Ma che dico di Marco e di me? Non c’è forse a Cattolica un ormai vasto stuolo di persone che hanno beneficiato dell’interessamento di Guido ai loro casi clinici?
Ammiro anche, in Guido, rampollo di una famiglia cattolica di stretta osservanza, la fierezza galileiana dello studioso che rivendica l’autonomia della scienza da qualsiasi interferenza di stampo confessionale. Dopo avere ascoltato da Radio Bologna un suo lucidissimo intervento circa le da lui auspicate tecniche di prevenzione contro possibili nascite teratologiche, gli mandai un biglietto di congratulazioni anche per la chiarezza espositiva, e in calce mi permisi di chiedergli maliziosamente: come la metterai adesso con l’Arcivescovo di Bologna?
Ebbi la più eloquente delle risposte quando mi riferì di avere consigliato, durante un congresso scientifico in America Centrale, di non far nascere fanciulli da crescere poi nella miseria più nera, nell’abbandono e in mezzo a mille malattie. Un discorso bello come una poesia di Pablo Neruda”.