– Pochi giorni fa un giornale nazionale riportava il contenuto dei biglietti scritti da Marco Pantani prima di morire. In particolare di uno indirizzato alla sua ex compagna. Cui il Pirata avrebbe lasciato detto “Mi manchi. Mi mancano i tuoi occhi. Mi manca il tuo cuore”.
Non era vero. Sembra invece che nel biglietto vi fosse un generico riferimento al fatto che il corridore sentiva la nostalgia della sua ex. Errore? No. La notizia è stata inventata (o meglio “ricamata”) insieme ad altri giornalisti, in uno scambio di informazioni che, in casi come quello della morte di Pantani, è normale che ci sia.
Meno normale, invece, l’invenzione di particolari, se si vuole non fondamentali rispetto alla notizia, ma non veri. Il giornalismo dovrebbe essere il racconto di ciò che è successo. E quindi della verità. Certo questo non sempre è facile. A volte diventa letteralmente impossibile. Quando, ad esempio, si fa cronaca giudiziaria, il giornalista è costretto a riportare quello che gli raccontano i giudici. Quando fa la politica è spesso in mano ad una fonte che gli riferisce cosa è avvenuto in un determinato incontro. Mica sempre si hanno e si possono avere, prove documentali di quanto si scrive. A volte bisogna fidarsi, nel qual caso è buona regola cercare il maggior numero di riscontri possibili e fonti da mettere a confronto (avvocati per la giudiziaria, esponenti di altri partiti per la politica?).
Ma nonostante tutti gli sforzi non è impossibile che il giornalista sbagli in buona fede o che venga tratto in inganno da altri che sono in malafede. Cosa che può capitare più facilmente nei quotidiani, quando il tempo di chiusura è una “spada di Damocle” che incombe.
Ma questa è una cosa diversa dall’inventare di sana pianta. Cosa che, purtroppo, spesso avviene, soprattutto quando su una notizia importante, mondiale, come la morte di Marco Pantani, si avventano i grandi giornali nazionali. Gli inviati.
Un vecchio direttore del Corriere della Sera, Mario Missiroli, usava dire: “Scrivete una cosa inventata di Tokio e nessuno vi dirà nulla. Fate un piccolo errore su Viterbo, e sarete sommersi di lettere di protesta”.
Significa che se un giornale locale, di Rimini ad esempio, scrive una cavolata sul territorio in cui ha sede, i suoi lettori lo sapranno, proprio perché vivono lì. Se lo fa un giornale nazionale, i suoi lettori di tutto il resto d’Italia non s’accorgeranno neppure che non è vero. Facile no? Ma non solo. Un aspetto forse ancor più inquietante è che se i principali giornali si mettono d’accordo su una versione, e la scrivono, quella, automaticamente diventa la realtà: se l’hanno scritto, pensa la gente, sarà vero. Basti pensare che una leggenda narra che ai tempi della Uno Bianca, nelle giornate di magra, gli inviati nazionali si ritrovavano in un certo bar di Rimini e si inventavano la notizia, uguale per tutti, del giorno dopo.
E altro aspetto ancora, quando la verità poi viene fuori, entra in gioco la scarsa memoria delle persone. C’è da scommetterci che quando il contenuto (quello vero) dei biglietti di Marco Pantani verrà alla luce, i giornali, magari quello stesso giornalista che ha inventato il contenuto la prima volta, lo riporterà come se niente fosse, e molto probabilmente nessuno si ricorderà più del primo articolo.
Ma sì, forse è questo che la gente vuole. Solo che poi la categoria dei giornalisti, inviati in testa, dovrebbe forse indignarsi un po’ meno quando la gente l’apostrofa dicendo che si inventa le notizie.