– Il vento delle urne è diventato tempesta per la Margherita. Che scuote i suoi petali, l’un contro l’altro armati, alla ricerca di una (nuova) identità. Val la pena, per capire la situazione attuale, fare un breve passo indietro. Nei mesi precedenti le elezioni, la Margherita stava già subendo un processo di gemmazione.
Ecco allora che a Rimini città, dove in Consiglio comunale il gruppo del centro era assai ampio e assimilava anche Udeur e Sdi, si creano le fratture. E’ lo Sdi il primo a dare segnali, che culminano con l’uscita di Stefano Casadei dal gruppo. Quanto al consigliere dell’Udeur Mirco Amadori, non si fa tentare dai seguaci locali delle sirene romane Mastella e Martinazzoli: esce dal gruppo della Margherita affiliandosi al Faro, insieme di liste civiche, e resta in maggioranza.
Ma a creare un gruppo di Ap-Udeur ci penseranno proprio due consiglieri della Margherita, Righini e la Vitale. Sono, i due, seguaci di Massimo Foschi, che, nonostante fosse assessore provinciale della Margherita, diventa il vate riminese di Ap-Udeur.
Obiettivo? Visto che la sua riconferma ad assessore dopo le elezioni era fortemente dubbia, Foschi pensava di trattare da una posizione di maggior forza come capo di un partito, pur appoggiando Nando Fabbri. Ma il risultato elettorale non gli ha dato ragione: troppo scarso per ottenere un consigliere, e quindi addio assessorato. Una soddisfazione però Foschi se l’è tolta facendo eleggere il “suo” Pino Sanchini, con una lista civica connotata a centro-destra, a Saludecio.
Va detto, tornando in Comune, che anche Righini e Vitale speravano in un assessorato, ma fino ad ora sono rimasti a bocca asciutta, di qui il loro andirivieni fuori e dentro la maggioranza.
Ma a parte il loro (incerto) destino, i fuoriusciti hanno fatto sì che la Margherita si presentasse ancor più frammentata alle elezioni e al dopo elezioni, cui è giunta con un risultato tutt’altro che buono.
Che fare allora? Accettare (umilmente) di entrare lo stesso nelle giunte, a partire da quella di Nando Fabbri? No. Meglio alzare il tiro (e il prezzo).
Fare un’analisi del voto seria e concreta? No. Meglio dare la colpa al fatto che i Ds hanno negato visibilità al centro che quindi è stato penalizzato. Tesi difficile poi da spiegare visto che nelle giunte uscenti il centro era sempre molto (a volte sovra) rappresentato.
Con queste motivazioni la Margherita ha iniziato a tirare la corda e alla fine non è entrata nella giunta della Provincia. E qualcuno ha anche fatto balenare lo spauracchio di un compattamento del centro alle prossime elezioni (le comunali del 2006) secondo il “modello Parma”.
La motivazione però potrebbe essere più semplice. Tra i patti preelettorali, oltre agli assessorati, si erano ventilati anche panorami parlamentari. A partire proprio da quell’Ermanno Vichi che, secondo i più, della Margherita è il capo indiscusso. Un orizzonte romano però difficile da sostenere, a posteriori, proprio per lo scarso risultato elettorale.
Come fare allora a farsi firmare una cambiale in bianco con destinazione Roma? Convincere il partito a tirare la corda e a non entrare negli esecutivi mettendo in difficoltà gli alleati, per poi farli venire a Canossa. Tanto più che, per il nostro, anche gli scenari bolognesi del post-vicepresidenza di Hera Holding starebbero iniziando a chiudersi tutti senza di lui. Dunque meglio contrattare subito.
Una strategia che però, alla lunga, ha cominciato a creare scontenti anche dentro il partito. Sia nel Riminese, dove varie forze, da Cattolica a Santarcangelo, da Pietro Pazzaglini a Mauro Ioli, hanno iniziato a dire che era un atteggiamento poco ragionevole. Sia a Bologna: chiara la posizione del segretario regionale Monari: bisogna entrare subito.
Ma per Vichi potrebbe esserci anche una partita di riserva: il Comune di Rimini, qualora dovesse andare alle elezioni anticipate, come qualcuno, trasversalmente, auspica (e non solo).
Dinamiche di questo genere presuppongono rapporti di forza, interni, al partito, ben precisi. Quelli, di fatto, emersi dall’ultimo congresso che ha sancito l’alleanza tra Vichi e Maurizio Taormina, allora vicepresidente della Provincia, che si spartirono la maggioranza assoluta, accettando le figure di Roberto Mussoni e Roberto Piva quali portavoce provinciale e comunale del partito. E ora primi inter pares di un (inerme) “comitato politico” composto anche da Vichi, Taormina e dal coriaceo Tiziano Arlotti.
Uno di cui non si può non parlare quando si parla di Margherita, è proprio l’assessore riminese, essendo un impareggiabile collettore di voti oltre che amministratore di primissimo ordine. Sempre a Rimini salta fuori la figura di Samuele Zerbini, giovane rampante, mentre da Santarcangelo ritorna a farsi vedere quel Mauro Ioli che a suo tempo portò all’elezione del sindaco Alberto Ravaioli e al successo elettorale con l’allora Quadrifoglio. Suo alleato storico, nella zona sud, il sindaco di Cattolica Pazzaglini. Mentre salendo nell’entroterra della Valconca si sente ancor più forte la diaspora del centro, un po’ di qua un po’ di là. E’ stato difficile, qui, gestire il dopo Giuseppe Roberti, mago delle tessere e di alleanze.
Repubbliche a parte sono considerabili Riccione e Bellaria. Nella prima i centristi risultano molto concentrati nell’amministrazione, con una lotta interna tra i giovani Cavalli e Berardi per la leadership. Mentre a Bellaria si sta lentamente ricostruendo il partito dopo l’uscita del vate Italo Lazzarini.
Difficile, con questi presupposti, ipotizzare scenari futuri. Certo dipenderanno da cosa succederà a Roma, ma sarà anche ora di dire che forse, la base del centro, comincia ad essere stufa di certi modi di fare politica basati solo sui destini personali piuttosto che su un disegno politico.