– Nato a Gubbio nel 1422 e morto a Ferrara nel 1482, Federico da Montefeltro è senza dubbio un personaggio complesso e forse ancora da scoprire.
Si sapeva che non doveva essere estraneo alla congiura ordita nel 1444 per uccidere suo fratello Oddantonio.
Quest’ultimo, che l’anno prima aveva avuto l’investitura a “Duca” dal papa Eugenio IV (il veneziano Gabriele Condulmer), rappresentava sicuramente un ostacolo alle ambizioni del giovane Federico, figlio naturale di Guidantonio da Montefeltro e l’assassinio del fratello doveva far parte del modo col quale farsi strada nell’intrigo della vita di corte.
Divenne quindi Signore di Urbino e con la diplomazia, non disgiunta dalle armi, allargò e consolidò il suo dominio riuscendo ad inserirsi nella complessa e movimentata dinamica della politica dei vari Signori nella Italia di quel tempo ove ataviche ed endemiche lotte erano in corso tra le varie realtà locali.
Seppe sfruttare a suo vantaggio i vecchi dissidi che esistevano tra i potenti delle Marche e della Romagna e nel 1474 il papa Sisto IV (Francesco della Rovere, pontefice corrotto e nepotista) gli riconoscerà il titolo di Duca, non senza pretese di contropartita.
Tra i meriti di Federico, allora Conte del Montefeltro, oltre alle indubbie qualità di uomo colto ed artefice di quella corte raffinata d’Urbino (vedasi il Palazzo Ducale da lui fatto costruire dal Laurana quale capolavoro architettonico del Rinascimento, vedasi la biblioteca di Urbino, il Duomo, il ponte sul Metauro tra Urbino e Mondavio, ecc…); va ricordato l’esempio della sua grandezza e magnanimità che seppe tenere, appena conclusa con la vittoria la battaglia di Montefiore del 1462.
Si sa infatti che in quell’anno le fortune di Sigismondo Pandolfo Malatesta si sfasciavano e il castello di Montefiore, difeso dal giovane figlio ventenne Giovanni Malatesta con pochi armati all’interno delle mura minacciate dall’assedio di Federico, fu espugnato dal montefeltrese non senza il concorso del tradimento dei montefioresi che aprirono la porta principale all’assediante il quale combatteva alleato e per conto della Chiesa.
Il cardinale di Teano, legato del pontefice Pio II (Enea Silvio Piccolomini, grande nemico del Malatesta e che aveva già ripetutamente scomunicato Sigismondo e lo aveva indicato, con la menzogna, al pubblico ludibrio alfine di condurre a suo vantaggio le mire espansionistiche e di dominio della Chiesa); pretendeva dal conte Federico la consegna del giovane Malatesta che era stato fatto prigioniero con la presa della Rocca Montefiorese.
E’ chiaro che le mire del cardinale sul giovane ostaggio già pregustavano l’arma del ricatto verso Sigismondo, suo nemico riminese indomabile.
Il legato pontificio voleva nelle sue mani il giovane Malatesta e Federico capì quale uso ne avrebbe fatto.
“E qui apparve in tutto il suo splendore la magnanima natura del conte: il quale non solo a Giovanni non fece offesa alcuna, ma usò con lui tutti i modi di cortesia, come gli fosse stata persona tanto amica quanto Gismondo gli era nemico; e fattogli ricchi presenti e caricate tutte le sue robe, non curando l’ira, benché pericolosa, del Cardinale, lo ripose in libertà, e volle egli stesso accompagnarlo in sicuro luogo. E ci pare che delle tante belle azioni di Federico, sia questa una delle più belle, e degnissima di essere esaltata col nobile ministero della istoria” (1).
Invece, tra i lati oscuri e meno nobili di Federico, si sospettava di una sua appartenenza non disinteressata alla losca azione attivata dal papa Sisto IV a danno della casata fiorentina dei Medici.
Che il papa avesse ordito ed appoggiato con la famiglia fiorentina dei Pazzi e dei Salviati la famosa “congiura” (2) contro i Medici era cosa risaputa, ma se fosse e quanto fosse partecipe il duca di Urbino non lo si poteva sapere anche se vi erano dei sospetti. Infatti il professor Riccardo Fubini, in un suo saggio del 1983, aveva avanzato circostanziati e precisi dubbi sul suo coinvolgimento, ma non aveva prove sicure.
E’ vero che Federico aveva tutto l’interesse a che Gerolamo Riario, (Signore di Imola e di Faenza per gentile concessione dello zio Papa Sisto IV), spostasse le sue mire nella Toscana, fuori dalla zona marchigiana-urbinate ove le pretese papali, di cotanto nobile zio, non si sapeva mai quanto fossero bramose; ma non si poteva avere certezza di quanto fosse implicato nella oscura vicenda il duca urbinate.
E’ per merito del giovane professore di storia e di letteratura rinascimentale della Wesleyan University (Connecticut), Marcello Simonetta (3), che ha decifrato una lettera in codice che il montefeltrese aveva inviato a Roma ai suoi ambasciatori prima che avesse luogo la congiura dei Pazzi, dalla quale lettera appare che Federico era responsabile quanto il Papa della nefanda preparazione dell’iniziativa attivata poi nella festa dell’Ascensione di quel 1478 nella Chiesa di Santa Maria del Fiore. Aveva infatti pianificato anche un apposito intervento militare che avrebbe dovuto avere luogo appena la congiura avesse raggiunto il suo scopo omicida con la soppressione fisica di Lorenzo il Magnifico.
Da questa scoperta del giovane ricercatore italiano, emigrato in America per poter lavorare nel campo della ricerca, emerge l’enigma che oscura il profilo storico di Federico che nasconde e sottende vizi, intrighi e tradimenti che mescolavano le azioni dei potentati e della Chiesa che aspirava a conquistare tutta l’Italia centrale senza scrupoli e senza tirarsi indietro ed anzi promovendo complotti ed orrendi delitti.
Per rivelare e portare alla luce questo segreto del Duca urbinate ci sono voluti 525 anni.
Si spera ardentemente che per scoprire i segreti dei complotti politici e dei complotti di Stato di questi ultimi nostri decenni, nei quali saranno sicuramente implicati parecchi esponenti ed affaristi italiani ed americani i cui sviluppi presentano indubbie analogie con il passato, non ci vogliano cinque secoli.
di Silvio Di Giovanni