– Un poeta vive a Coriano. O’Brien Olmeda, nato a Roma nel 1927, mi apre la porta di casa in una bella giornata di sole.
Ha modi gentili, si scusa per non essere vestito con eleganza, poi si accende una sigaretta, aspira forti boccate di fumo aspro e inizia a parlarmi di sé e dell’ispirazione che lo porta a cantare i grandi sentimenti: l’amore, l’amicizia, il legame con la propria terra e con i suoi uomini.
Non è andato a lungo a scuola, ma fin da bambino ha scoperto la passione per la letteratura e la poesia, continuando da solo a studiare, a leggere, ad interessarsi a Dante e Leopardi, alla ricerca di un verso tradizionale che potesse riflettere la quotidianità e sapesse cantare la vita in tutti i suoi aspetti.
O’Brien Olmeda ha pubblicato otto libri, con varie poesie in dialetto romagnolo e in lingua, e ottenuto vari riconoscimenti letterari, ma è rimasto una persona schiva, nota a un ristretto pubblico di ammiratori, tanto lontana dal palcoscenico da mandare spesso altri a ritirare i premi a lui conferiti. Non ama i titoli altisonanti e preferirebbe essere ricordato come “che pori sgraziéd ad Usdalétt”, semplicemente come un uomo che pensa che la parte migliore di se stesso sia il poeta.
E ancora scrive, notte e giorno, “più preso dalla poesia che da altro”, inseguendo il bisogno di esternare quanto dentro di lui si agita e solo sulla pagina può trovare pace.
È un uomo sorridente questo poeta, che inonda il tavolo davanti a me con le sue carte, ed io ne raccolgo una da custodire quando quest’incontro sarà finito.
RUMAGNA
Com la è bèla, dé e nòta, la Rumagna!
E su bèl ciel, al spiage, la campagna…
E su mèr sempre azzor e poch prufond,
l’è dvènt ormai e mer più bèl te mònd.
Bellaria, remin, Miramare, Arciòm,
lè sèmpre sotta un ciel che un l’ha nissòm,
e quand e sol e splènd su ogni riviera,
anche l’invèrne e dvènta primavera.
Finchè bela da nòm cumè nissòmna, ecco spunté so in ciel la nostra lòmna.
Allora intorn, Dio, che paesag!
I lè tved una vegna, i là un villag;
da ogni perta uiè chemp ad grèn, d’aveina…
Pio so, una chesa bienca sla culeina:
sotta tutta cla luce inargenteda,
la pèr, t’un gran silenzie, indurmenteda.
Me a degh, guardand ste ciel e sta campagna:
“Com la è bela, dé e nòta, la Rumagna!”