– Walter Martinese fino allo scorso 19 luglio è stato il responsabile dell’Ufficio studi della Cgil. In pensione, la dirigenza sindacale gli offriva rapporti a progetto. Causa divergenze con la nuova direzione generale, il contratto non gli è stato più rinnovato. Sessant’anni, sposato, un figlio, di origine ligure con casa vicino da Indro Montanelli, è arrivato a Rimini nel ’63 con il babbo, un funzionario delle dogane. Laurea in Sociologia con 110 e lode, come ama raccontare, è anche professore a contratto dell’Università di Bologna. Insegna Contratti di lavoro, sistemi contrattuali e relazioni industriali. Da giovane ha lavorato con Gino Giugni e Sergio Garavini all’elaborazione del progetto di legge sullo statuto dei diritti dei lavoratori. Sindacalista aziendalista, con 4 ministri ha contrattato il rinnovo del contratto di lavoro per il commercio. Grazie all’esperienza riminese ha creato centri studi Cgil a Pesaro, Cesena, Ferrara, Ravenna. E’ stato il testimone di trent’anni di storia economica del Riminese. Ha visto nascere, crescere e morire aziende.
Attacca il suo excursus storico: “Le aziende che hanno avuto un pessimo rapporto col sindacato sono quelle meno sane e che nel medio e lungo periodo non hanno retto alla concorrenza: o sono sparite, o ridimensionate. Dove ci sono buone relazioni tra le parti si programmano meglio tutti i processi produttivi. A Rimini ci sono ancora aziende che non riconoscono il ruolo dei rappresentanti sindacali, pretendono rapporti individuali sulle condizioni di lavoro, le elargizioni economiche”.
A chi gli chiede qual è stata l’azienda che più l’ha impressionato in questi anni, risponde: “Per innovazione, crescita, gestione, non ci sono dubbi: è l’Aeffe di San Giovanni in Marignano. Ho apprezzato il lavoro e la serietà di Gianfranco Vanzini, il direttore generale: un manager di grandi capacità. Era capce di coniugare l’interesse dell’azienda con quello dei lavoratori. Relazioni simili non siamo riuscite ad averle con la Gilmar, l’altra grande impresa di moda marignanese. Mi hanno anche impressionato i gruppi di manager della Scm che riuscirono a traghettare l’azienda fuori dalla crisi a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Alfonso Vasini, direttore amministrativo e Martinotti, responsabile finanziario con una passato alla Fiat e Stefano Vitali, consulente esterno, fecero un ottimo lavoro. Un merito averli scelti per Adriano ed Alfredo Aureli”.
“Un’altra azienda che mi ha colpito – continua Martinese – è stata la Ferretti Craft, soprattutto Galeone, l’attuale amministratore delegato. Fra le piccole imprese della provincia ho apprezzato come la Comeca sia riuscita a coltivare il suo mercato. Ultimamente va bene la Petroltecnica, che ha il merito che ha fatto del risanamento ambientale un affare economico. Un’altra azienda con buoni rapporti sindacali, a volte anche duri ma corretti, è alla Ceramica del Conca. Qui, ancor prima del luglio del ’93, riuscimmo ad accordarci sul salario variabile”.
E le grandi delusioni industriali?
“Al primo posto metto la Cfm Ball dei fratelli Aldo e Bruno Ciavatta. Uno tra i maggiori produttori italiani di blu jeans, nel massimo splendore impiegava 260 addetti. Lì ci sono sempre stati rapporti sindacali rudi, nonostante questo riuscimmo a salvaguardare il posto di lavoro a 120 persone con l’operazione con la Stefanel. Un caso eccezionalmente negativo fu la chiusura del polo calzaturiero a Riccione. Nel volgere di un anno chiusero al BM (300 addetti) e la Fratelli Bologna (oltre 100). Nello stesso periodo la Valleverde riuscì a reggere le difficoltà del mercato ed a lanciarsi verso i successi di oggi. L’arma vincente della Valleverde sono state rappresentate dalla qualità del prodotto, il prezzo ed un marketing aggressivo quanto azzeccato. Armando Arcangeli, il titolare è un maestro”.
Martinese chiude con le delusioni industriali: “Un altro fatto negativo fu con il Centrostiro (350 addetti) di Spadazzi. Aveva inventato come sbiancare i blu jeans. Lavorava per aziende di prestigio come la Rifle. Naturalmente pessimi rapporti sindacali. Un giorno la proprietà ci chiama e ci preannuncia la cassaintegrazione per 60 dipendenti; scopriamo che la stessa mattina aveva chiesto l’assunzione di 40 dipendenti”.