– Almeno due sono le tesi di laurea che, secondo me, merita il saggista e antifascista Giuseppe Paganelli Aventi, nato a Cattolica il 19 maggio 1893 e morto a Milano il 14 dicembre 1973: una di storia letteraria e l’altra di storia politica. Due come i cognomi che usò, quello di suo padre e quello di sua madre, la contessa Aventi, appartenente ad una famiglia di valorosi patrioti ferraresi del Risorgimento.
Fu infatti con il cognome materno che negli anni Trenta il professor Paganelli (laurea in Lettere a Bologna), per sottrarsi alla caccia che gli davano i fascisti, firmò i suoi saggi sulle riviste “Pan” (1933-1935), “Pégaso” (1929-1933) e “Solaria” (1926-1934), le prime due reperibili presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, la terza presso la Biblioteca delle Discipline Umanistiche di Bologna. Nel secondo dopoguerra egli collaborò a “Nuovi Argomenti”, la rivista di Moravia e Sciascia reperibile presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, pubblicandovi, tra l’altro, un originalissimo studio storico-letterario, Sodoma e Gomorra, sulla perversione sessuale, la cui storia è stata da lui ripercorsa con grande respiro culturale dai tempi della Bibbia fino al nazismo.
Interventista nel 1914-1915, Paganelli fu sottotenente nella grande guerra, ferito in un assalto e proposto per una medaglia d’argento. Era un entusiasta, come testimoniano coloro che lo hanno conosciuto, privo di senso pratico e totalmente indifferente al denaro. Nel 1919 accorse a Fiume con D’Annunzio e venne chiamato da Mussolini alla redazione del “Popolo d’Italia” a Milano. Iscritto al movimento fascista dal 1919 (come Toscanini e Pietro Nenni, tutti convinti che quel movimento fosse di sinistra), ne uscì nel 1923, quando comprese la vera natura totalitaria e liberticida del fascismo, collaborando a vari giornali di opposizione al regime. Nel 1924, perciò, i fascisti di Bologna lo percossero a sangue, costringendolo a dieci giorni di ospedale. Nel 1926 fu condannato a cinque anni di confino a Lampedusa, dove fece amicizia con Guido Picelli, il deputato comunista di Parma che nel 1922 aveva capeggiato la vittoriosa resistenza di Parna contro le squadracce fasciste di Balbo e che morirà in Spagna combattendo contro le truppe di Franco.
Uscito dal confino, Paganelli non cessò di criticare il fascismo, tanto da subire nuovi arresti a Roma e a Bologna. Nuovamente arrestato a Firenze nel gennaio 1939, venne rinchiuso nel carcere delle Murate fino all’aprile, quando venne condannato a cinque anni di confino a Ventotene. Qui Paganelli strinse amicizia con i confinati più vicini alle sue idee di democratico laico e progressista, ossia l’ebreo socialista Eugenio Colorni, lettore nell’Università tedesca di Marburg (che cadrà a Roma nel 1944 ucciso dai fascisti di Salò), i comunisti Umberto Terracini e Camilla Ravera e, un po’ defilato, l’ex comunista Altiero Spinelli.
Come è noto, saranno Spinelli ed Ernesto Rossi, giunto a Ventotene (era stato condannato nel 1931 a vent’anni di carcere per antifascismo) sei mesi dopo Paganelli, a scrivere, tra maggio e giugno 1941, il famoso Manifesto di Ventotene per l’unione federale europea; ma alla preparazione di quel documento aveva intensamente collaborato anche Eugenio Colorni, che aveva cominciato a discuterne con Spinelli ancor prima dell’arrivo di Rossi.
Il curiosissimo Paganelli, che frequentava assiduamente Colorni anche per poter ascoltare con lui i dischi di Gluck e Beethoven (passione condivisa da Terracini), ascoltava con grande interesse i discorsi di Spinelli e Colorni sulla futura Europa, e già il 29 agosto 1939 annotava sul suo diario: “dovrò chiedere a Colorni e a Spinelli se essi vedono, nell’Europa che potrà risuscitare da questa guerra (ma non ci credono ancora del tutto, Colorni e Spinelli, alla inevitabilità e alla prossimità di questa guerra ed è strano), una “comune madre delle patrie”, con residui giacobini o illuministici (utopie, secondo l’anarchico Failla), oppure un’antica e nuova “cosa ecumenica”, con anima cristiana ?”. Il fatto che oggi in sede di Unione europea si di-scuta intorno alle radici cristiane dell’ Europa la dice lunga sulla cultura storica di Paganelli e sul suo acume.
L’annotazione su Colorni e Spinelli fa parte del Diario di Ventotene, che va dal 1° agosto al 4 settembre 1939, poco meno di un mese contrassegnato da due eventi storici: la firma del patto di non aggressione tra Unione Sovietica e Germania nazista e lo scoppio della seconda guerra mondiale. Nulla sfugge all’occhio attento e all’intelligenza viva di Paganelli, ad onta della sua tristezza per la lontananza di Oliva (“a me sembra di sopravvivere soltanto perché in qualche umano luogo c’è una donna che mi pensa ? e certo mi aiuta”). Egli assiste all’isolamento al quale i compagni di partito, Secchia, Scoccimarro, Li Causi, e gli altri, che si sono “adeguati al partito-guida, e dunque allo Stato-guida, la Russia”, hanno condannato Umberto Terracini e la Ravera critici del patto tedesco-sovietico (“attorno alla coppia Umberto Terracini e Camilla Ravera si è già fatto il vuoto”, annota il 26 agosto), ma non se ne sorprende, perché si è già reso conto della statura superiore dei due? reprobi. E possiede, Paganelli, un fiuto politico di prim’ordine. Il 4 agosto, infatti, quando apprende che Stalin ha sostituito il ministro degli Esteri Litvinoff con Molotov, egli intuisce un dato che gli storici futuri confermeranno: che, cioè, Stalin sta chiudendo le trattative con Inghilterra e Francia e preparando l’accordo con la Germania: “Litvinoff societario (amico cioè della Società delle Nazioni, ndr), ebraicamente cosmopolita, indotto dai migliori motivi dell’indole e della ragione a vedere nella Germania hitleriana il monstrum ?”.
Ma non ci troviamo di fronte soltanto a un documento di grandissimo interesse storico-politico, perché il Diario di Ventotene è anche un piccolo capolavoro letterario, come afferma il critico Sergio Solmi nella Prefazione. L’isola è descritta, in tutti i suoi anfratti, con pennellate estremamente suggestive, le persone sono colte in incisive istantanee, dal “massiccio e quasi rozzo” Pietro Secchia al “focoso” Sandro Pertini. Ma un personaggio domina su tutti, ed è il mare, seguito in tutte le sue mutazioni e descritto in tutti i colori che gli fa assumere il cielo cangiante.
Paganelli non ha fatto in tempo a veder pubblicato il suo Diario di Ventotene. Sergio Solmi, che gli fu vicino fino alla fine, ci dice quanto il cattolichino aspettasse questo libro, oggi ormai introvabile.
*Professore di Storia del Risorgimento all’Università di Ferrara
di Alessandro Roveri*