– Quell’uomo. Quale uomo? Il mondo ne è pieno. Quando nasciamo, troviamo che il mondo è già popolato da milioni di uomini, di tutte le età.
Noi siamo nuovi. Non sappiamo niente, assolutamente niente. La nostra coscienza , se ne abbiamo una, vaga nel nulla, ignara di sé e di tutto il resto. Poi, per misteriosi eventi legati alle leggi della natura, senza che ce ne avvediamo, cominciamo ad accorgerci di essere anche noi parte di questo mondo. Ognuno di noi diventa adagio adagio un “io”, e come tale comincia a confrontarsi con gli altri. Ma non sa cosa fare.
Che fare, se non scegliersi un modello? E per un bambino, il modello di uomo più a portata di mano, è il babbo. Fortunato chi lo ha, e che, purtroppo, talvolta il padre è assente, un eterno assente.
Il mio non mi fu mai assente. Ricordo i suoi racconti di quando era stato in guerra. Io ero un bambino e per lui era una cosa recente. Sapeva raccontare e io stavo a sentire con il fiato sospeso, anche se alcuni racconti li avevo già sentiti. Forse non ricordava di averli già fatti o gli piaceva ripeterli. Era una suspence che faceva stare qualche momento col fiato sospeso.
Racconti ne aveva e ne aveva nella sua memoria e io stavo ad ascoltarlo, la sera, davanti alla stufa. Come non dire quanta umanità ci fosse in quei racconti, ora che si passano anonime serate, estranei l’uno all’altro, davanti alla televisione?
Purtroppo col tempo i ricordi si vanno facendo più rari e imprecisi, anche se alcune cose si sono fermate nella memoria con strana persistenza. Ed io stesso non so il perché. Quale significato profondo possono avere?
Se devo indicare un periodo felice della mia vita, devo pensare a quello. Forse perché ero troppo piccolo per immaginare felicità più grande o perché quella era veramente felicità? Quello stato di grazia particolare, cioè, in cui si cresce dentro e ci si arricchisce di valori semplici e tuttavia insostituibili e introvabili altrove o in altri tempi ?
Invecchiando, ahimè, restano del passato solo rari e sbiaditi fotogrammi, ma essi si fanno sempre più condensati ed essenziali. Di mio babbo conservo le fotografie che tengo come reliquie. Mi basta guardarle per rivederlo, quell’uomo, che mi ha amato come meglio non avrebbe potuto, che ha sacrificato materialmente parte della sua vita per me, che mi ha trasmesso molte delle sue caratteristiche esistenziali, che pur commettendo errori mi ha misteriosamente insegnato ad evitarli, che mi ha fatto prediche interminabili. Mi ha rispettato e mi ha amato, almeno quanto abbia amato se stesso.
Ringrazio Dio che lui, morendo, non avesse nemmeno un centesimo da lasciarmi in eredità, che sarei turbato dal dubbio di amarne il ricordo per quello. Mi tormenta da decenni il dispiacere di non aver fatto in tempo a ringraziarlo in maniera concreta del suo modo di essermi stato padre.
Legga nel mio cuore, dovunque egli sia, questo mio inesaudibile desiderio.
Giordano Leardini