– Più di mille persone ad emozionarsi alla conferenza di Umberto Galimberti. Molte centinaia nelle altre serate del ciclo misanese. Insomma, i filosofi presi d’assalto come delle primedonne dello spettacolo. Forse, c’è qualche speranza.
– Come ogni anno, ormai consolidata, la encomiabile iniziativa della Biblioteca Comunale di Misano Adriatico si esplica, nel 2005, in nove incontri dal 7 ottobre al 2 dicembre con scadenze settimanali nella accogliente aula-magna dell’Istituto San Pellegrino, con l’ancor più accogliente figura e presenza di padre Benito Fusco e con un sempre nutrito pubblico competente, interessato, partecipe, dall’età variegata e con esaltante buon numero di giovani.
La bravura di Gustavo Cecchini nello scegliere il tema dell’anno e nel coinvolgere le alte figure degli eminenti relatori, trova esemplare riscontro nell’aiuto e nella disponibilità degli amministratori del Comune, marcata anche con la lodevole presenza agli incontri.
Il tema di questo ciclo è interessante ed i relatori fin qui intervenuti lo hanno correlato all’attuale momento storico della nostra civiltà occidentale.
Per l’esordio meglio non poteva esplicarsi la figura di Salvatore Natoli, docente che non ha bisogno di presentazione, filosofo, estremo conoscitore dell’animo umano, ha già alle spalle una munifica produzione.
Il titolo era: “Progresso e catastrofe: riflessioni sulla fine della modernità”.
La sua relazione ha spaziato un po’ in tutti i campi, come i suoi libri; dall’Etica alla Virtù, dal Neopaganesimo alla Redenzione.
Quanto incide il concetto di etica sui “sentimenti morali?”. E quali sono i “fondamenti della morale?”.
“Le morali sono sempre sociali per definizione. Allo stesso modo in cui nasciamo non inventiamo un linguaggio, ma apprendiamo a parlare una lingua, così apprendiamo l’agire morale sempre ed inevitabilmente entro una consuetudine” ed ancora: “L’etica prima ancora di configurarsi nei termini del dovere si configura in quelli del senso. Essa definisce il modo di abitare il mondo. E gli uomini apprendono a somigliarsi quanto più si mescolano tra loro”.
Oggi come si affronta il concetto di virtù?
L’attuale complessità del mondo e dei rapporti umani si pone ovviamente in maniera diversa rispetto al modo antico di concepire la virtù. Era indubbiamente un modo più semplice, se non ingenuo, che oggi non calza più con la molteplicità degli eventi.
Alla fine del lungo sonno della ragione abbiano assistito al fatto che “All’alba della modernità, le guerre di religione avevano mostrato come le lotte per la verità, lungi dal far risplendere l’unità del vero, avevano prodotto dolore, macerie, sangue” da ciò discende che la virtù non ha nulla da spartire con la pretesa detenzione della verità. La virtù dovrebbe essere vista come il conseguimento del bene per sé e per gli altri: “Quando questo non accade si scatena la guerra: il conflitto diviene endemico se gli uomini non ritrovano reciprocità” ed ancora: ” La Virtù non invade lo spazio dell’altro ma libera lo spazio e fa distanza perché l’altro possa essere meglio e più autenticamente raggiunto nella sua libertà. La virtù così intesa, ritengo si disponga ad un livello più alto del dovere. E’ arte discreta del ben vivere”.
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In questo nostro tempo di profondi cambiamenti il neopaganesimo si può definire postcristiano?
Se si osserva in maniera specifica il passaggio storico in cui viviamo dobbiamo ammettere che una linea pagana ha un po’ sempre attraversato tutti i secoli del cristianesimo, osserva Natoli.
Fa capolino nel Medioevo ma fa il suo esordio nelle tappe della modernità: l’Umanesimo, Montaigne, Hume. Forse in queste posizioni si avverte più “un paganesimo cristianizzato che un neopaganesimo esplicito”. Quest’ultimo emerge infatti solo con la fine di quel cristianesimo che dapprima si era presentato come detentore dell’assoluta verità e che in forza di ciò si sentiva in diritto, anzi in dovere (e forse con buona fede) di imporla al mondo. Quando il mondo “mette in discussione l’incondizionatezza della verità, allora il cristianesimo, quasi per acquistare credito, si è mutato in cultura: Quindi è un cristianesimo che diventa etica”.
E’ chiaro che “non ci vuole molto a capire che sono cose ben diverse dalla resurrezione dei morti”.
La stessa cristianità ha, come dire, secolarizzato e mondanizzato il cristianesimo.
Il neopaganesimo non vuole negare il cristianesimo, anzi lo attraversa, percorre le vie della stessa sua secolarizzazione, ma rinviene alla fine come una diversa possibilità di vita.
“Se è possibile una saggezza del vivere non cristiana, allora il cristianesimo non è tutto”.
Il cristianesimo “si presenta come una opzione possibile, valida per chi la sceglie e per nulla vincolante per chi non ritiene plausibile e persuasivo il contenuto di quella promessa”.
Stando così le cose “si può allora dire che il cristianesimo non è una condizione necessaria perché la vita sia buona e gli uomini felici”.
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Il Natoli, filologo della filosofia e cultore dell’arte del meditare, ha scandagliato con puntigliosa acribia ermeneutica i testi antichi biblici ed ha ricondotto il tema della “Redenzione” alla riscoperta necessaria della cultura greca. “Tornare ai greci” infatti.
“I greci come interpreti: quando parliamo dei greci parliamo al tempo stesso dell’oggi e dell’ieri: la loro storia, universalmente nota, è un nitido specchio che riflette sempre qualcosa che non è nello specchio stesso …….. i greci agevolano all’uomo moderno varie cose difficili a comunicarsi e degne di essere mediate”.
Ma perché dunque oggi un ritorno ai greci?
Perché l’umanità contemporanea non crede più, o ci crede sempre meno, in una salvezza oltre il tempo, ripone sempre meno la speranza nella parusia, nell’attesa escatologica e nella speranza del suo compimento, per risolvere i suoi problemi della vita.
“Si può essere buoni anche senza essere cristiani. Di questo i greci sono un modello”.
Ma dove passa il discrimine tra chi ha la necessità di redenzione e chi invece no?
Certamente “il credente non solo crede nella redenzione totale del mondo dal dolore e dalla morte, ma in Cristo si sente e si vive come già salvato” quindi la differenza sostanziale tra il credente ed il non credente è data dalla diversa idea di salvezza e di redenzione.
“Il non credente, come tutti gli uomini, sente il bisogno di aiuto, non di salvezza”. E l’aiuto sente che può venire dagli altri uomini e non dal divino.
La seconda tornata ha avuto per relatrice la psicologa e psicoterapeuta Elena Liotta, la sera del 14 ottobre, con il titolo: Seguendo la via del proprio smarrimento: il coraggio di usare un mutamento radicale
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La Liotta nella sua attività professionale e nelle sue opere è fortemente interessata e lo ha reso manifesto nell’incontro, al problema delle politiche sociali, alla tutela dell’ambiente, al sostegno delle minoranze.
Nel suo ultimo volume “Su anima e terra. Ambiente, migrazione e psicologia analitica” si rivolge a tutti coloro che hanno a cuore il benessere della comunità: gli amministratori, i politici, gli urbanisti, gli architetti, gli psicologi e le persone che in genere viaggiano, si spostano, emigrano per scelta o per necessità.
I concetti li ha tutti ripresi nella sua relazione ed il suo pensiero è quello di poter essere utile a chi fa esperienza di un nuovo ambiente, lontano dai luoghi suoi famigliari, nell’accesso ad un luogo sconosciuto che può anche essere ostile o comunque incomprensibile.
Punta l’attenzione sulla crisi generale del tempo in cui ci troviamo a vivere.
Nel suo quotidiano impegno per la pace e nella sua partecipazione al movimento interreligioso, avverte una visione pessimistica del mondo occidentale nel suo rapporto con la religione cristiana-ebraica.
Avverte una angoscia ed una necessità di maggiore attenzione al rapporto tra l’uomo e l’ambiente ed alla conseguenza psicologica nella consapevolezza del legame profondo che l’uomo ha con i suoi luoghi amati e l’umano snaturamento cui va incontro l’emigrante straniero nella terra altrui.
Pur nella globalizzazione delle società avanzate ove si tende a divenire cittadini del mondo, restano però latenti ed inconfessati i legami con la propria terra di origine il che è naturale, legittimo ed innato, ma esiste anche il pericolo di maturare anche inconsciamente, atteggiamenti razzisti.
Il viaggiare può essere però anche la metafora di un percorso interiore che riesce a conglobare una forma simbolica dell’esistenza dell’uomo con la realtà stessa della vita.
Non posso relazionare sull’incontro del venerdì 21 ottobre con Carlo Sini perché ero a Roma e quindi non ho assistito.
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Mi è piaciuto l’incontro del venerdì 28/10/2005 con i due relatori: Michele Serra e Marcello Veneziani. E’ stato un proficuo raffronto di due diverse culture e due diversi modi di interpretare il presente e vedere il futuro.
Tuttavia frequentemente le posizioni coincidevano e gli interventi dei due relatori, a piccoli stralci di circa quindici minuti cadauno per ciascuna volta e per sei tornate, sono risultati di tenore edificante ed apprezzato dal pubblico.
E’ ovviamente poi emersa una diversa concezione di vedere il rapporto tra lo Stato e la Chiesa in ordine alle interferenze che quest’ultima non disdegna di coltivare a mezzo dei suoi più intransigenti esponenti nelle faccende civili dello Stato Italiano.
Per Veneziani non si tratta di una interferenza della Chiesa ma di un suo diritto nell’orientare le coscienze dei credenti nel senso degli insegnamenti divini.
Per Serra ciò che disturba è la pretesa degli esponenti della Chiesa di avere la verità in mano e di volerla imporre agli altri e non solo ai credenti ma, interferendo nella società civile, a tutti ed allo scopo ha ricordato che la pretesa detenzione della verità produce intolleranza, così come l’ha prodotta nel passato e sulla quale intolleranza delle religioni credute vere c’è tutta una storia che gronda di sangue.
Non ho potuto poi assistere al prosieguo delle conferenze del 4 e dell’11 novembre perché la mia famiglia è stata colpita da un tremendo fatto luttuoso.
di Silvio Di Giovanni