– Una volta fu chiesto ad Einstein cosa ne pensasse di una sottoscrizione che era stata pubblicata da cento fisici, fra i più autorevoli all’epoca, contro la sua rivoluzionaria teoria della Relatività. La risposta, semplice e saggia al contempo, fu che se avessero avuto ragione ne sarebbe bastato uno solo, a dimostrazione del fatto che non è il numero che fa la verità, ma semmai il contrario.
I tempi passano, ma gli errori restano: molti tecnici, solo perchè alcuni di scienziati di fama internazionale hanno escluso possibili rischi cancerogeni per la salute umana derivanti dall’esposizione a radiofrequenze e microonde, sono convinti dell’inesistenza di un dibattito scientifico in materia.
Gli unici effetti riconosciuti sono i cosiddetti effetti acuti, ossia quegli effetti a breve termine dall’esposizione riconducibili all’eccessivo riscaldamento dei tessuti (effetto termico). In questo caso esiste una relazione quantitativa con l’intensità di esposizione, cioè un vero e proprio rapporto tra dose assorbita ed effetto per cui, superata una determinata soglia, l’effetto si manifesta e si aggrava via via che la dose aumenta. Per tale motivo la normativa vigente in Italia prevede l’esistenza di un limite di esposizione che non deve mai essere superato, al di sotto del quale l’effetto indesiderato dovrebbe essere nullo.
Difficile invece trovare una condivisione di opinioni circa i possibi effetti a lungo termine (effetti cronici), in particolare quelli genetici e cancerogenetici, per i quali esiste un’ampia letteratura scientifica sviluppatasi negli ultimi 30 anni, a volte emarginata o addirittura strumentalmente alterata nei contenuti, certo non conclusiva dal punto di vista del nesso di causalità, ma fortemente indiziaria a favore della documentazione di effetti biologici, alcuni dei quali sarebbero indicatori di possibili danni alla salute, definiti “non termici” perché indotti da esposizioni a livelli di campo elettromagnetico inferiori a quelli che producono un eccessivo riscaldamento. Gli effetti cronici vengono indotti secondo una relazione puramente probabilistica della dose: ogni dose, per quanto minima ha una reale probabilità di produrre un danno biologico, probabilità che decresce al diminuire della dose, ma la cui gravità è indipendente dall’entità della dose stessa.
Un semplice esempio di effetto non termico è la capacità di una luce, che lampeggi con una frequenza di circa 15 segnali al secondo, di provocare crisi convulsive in persone che soffrono di fotoepilessia. Non è la luminosità (intensità) della luce a generare la patologia, ma piuttosto il fatto che il cervello riconosce e, a sua volta, risponde alla frequenza del lampeggiamento: in altri termini l’effetto riguarda più l’informazione (frequenza) contenuta nel segnale che non la sua intensità, anche se la luce deve ovviamente essere abbastanza intensa da essere visibile e deve esistere, in questo caso specifico, una predisposizione neurologica della persona esposta.
Le tecnologie da cui siamo circondati (ripetitori radio, TV e cellulari, elettrodotti, cabine di trasformazione, la maggior parte degli elettrodomestici di uso comune, il telefono cellulare ecc.) lampeggiano in modo analogo, con varie intensità e frequenze a seconda dell’utilizzo a cui sono destinate. Alcune di queste frequenze ricadono nella gamma di certi bioritmi elettrici del corpo umano che quindi possono essere esposti a vere proprie interferenze.
Negli ultimi 100 anni il nostro ambiente si è arricchito di radiazioni dotate di frequenze in origine inesistenti con le quali l’essere umano non si era mai confrontato, nè geneticamente selezionato come invece è avvenuto per certi campi elettromagnetici di origine naturale, aumentando, al contempo, l’intensità del valore del fondo complessivo di 100.000 volte e in alcuni casi di 1.000.000 di volte.
Tuttavia mentre la possibile nocività delle interferenze elettromagnetiche viene riconosciuta nel caso dei sistemi di controllo elettronico quali quelli di aerei ed ospedali, al punto di vietarne l’uso in certe situazioni, i possibili danni generati dalle interferenze sui sistemi di controllo bioelettrici del corpo umano non sono riconosciuti. A livello normativo la legge prevede, in questi casi, un valore di attenzione, destinato ai luoghi a lunga permanenza, che non deve essere superato al fine di tutelare le persone dai possibili effetti cronici, un valore misurabile sulla base di criteri che sarebbero più coerentemente adeguati agli effetti acuti che a quelli cronici, per non parlare poi del fatto che l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL), in varie occasioni alla fine degli anni ’90, aveva assunto una posizione decisamente cautelativa suggerendo valori nettamente inferiori rispetto a quelli recepiti dalla normativa, segnalando effetti neurologici, nel caso di neonati, ad intensità di campo elettrico 10 volte inferiori al valore di attenzione. Ad ogni modo questo valore, ancorchè inidoneo, esiste e deve essere rispettato così come il limite di esposizione.
Passiamo ora ad analizzare rapidamente lo stato di fatto della nostra provincia.
In alcuni siti come Montescudo o Covignano, ricchi di ripetitori radio televisivi, esistono postazioni in cui i parametri di legge, come ho anche personalmente verificato attraverso monitoraggi, non vengono rispettati. Per questo motivo è in fase di realizzazione il Piano di Localizzazione delle Emittenti Radio Televisive (PLERT) il quale dovrebbe formulare ipotesi adeguate al risanamento. Ritengo che, data la conformazione dell’orografia locale, non esistano molte soluzioni efficacemente praticabili al di fuori dell’innalzamento dei tralicci che ospitano le vari emittenti, operazione che richiede un impatto paesaggistico-ambientale molto forte, ma inevitabile se si vogliono perseguire obiettivi minimi di tutela sanitaria, laddove una semplice delocalizzazione degli impianti risultasse insufficiente.
Sul fronte della telefonia cellulare, contrariamente a ciò che alcuni ritengono, non esistono margini per un regolamento tipo replicabile, a livello provinciale, da ogni ente locale, poichè ogni realtà ha proprie caratteristiche. I regolamenti comunali, previsti dalla Legge Quadro (36/2001), si devono articolare su obiettivi di qualità eterogeni, come ebbe già modo di precisare la Corte Costituzionale, basati su istruttorie tecnico-scientifiche atte dimostrarne le motivazioni e la ragionevolezza. La normativa suggerisce l’adozione di criteri localizzativi ed urbanistici, opportunamente calibrati sulla singola realtà locale, volti a minimizzare le esposizioni della popolazione ai campi elettromagnetici. Il problema non lo si risolve con la semplice moltiplicazione del numero degli impianti che, come qualcuno sostiene, ridurrebbe la potenza delle singole antenne diminuendo al contempo il valore del fondo medio. Questa ipotesi viene smentita dai fatti: se prendessimo in esame le nove provincie della nostra regione vedremmo che, a fronte di una certa variabilità nel numero degli impianti per unità di superficie, la potenza media delle varie stazioni radio base rimane, al contrario, pressochè costante, a dimostrazione del fatto che il gestore cautela la qualità del proprio servizio utilizzando potenze superiori a quelle necessarie ad avere un segnale ottimale. Il criterio dell’aumento del numero degli impianti sarebbe efficace solo se le singole potenze risultassero al di sotto di certe soglie.
Un altro problema consiste nel controllare se le altezze degli edifici presenti in un intorno di una stazione radio base, autocertificate dai gestori, sono conformi alla realtà, operazione attribuibile solo all’ammnistrazione comunale, visto che non spetta nè all’ARPA, nè all’AUSL. Errori in tal senso non sono inusuali e possono comportare un superamento dei parametri di legge, come peraltro si è già verificato.
Tuttavia la situazione peggiore si ricontra nel caso delle sorgenti in bassa frequenza (elettrodotti, cabine di trasformazione …). Infatti la normativa nazionale, totalmente dissociata dalla realtà scientifica, prevede parametri di esposizione per la tutela dagli effetti cronici, fino a 50 volte superiori a quanto suggerito, a livello epidemiologico, in numerose pubblicazioni ed indicato nella legge regionale dell’Emilia-Romagna (30/2000 e 197/2001) per le nuove linee elettriche o le nuove edificazioni. Nella nostra provincia esistono contenziosi penali in itinere per danni biologici lamentati da soggetti molestati da campi magnetici in bassa frequenza le cui sentenze vengono riportate anche nei testi di giurisprudenza. Sono coinvolte importanti linee elettriche ed anche cabine di trasformazione, molte delle quali, pericolosamente confinanti con ambienti abitativi.
Mi limito a segnalare che recentemente, nel caso di Radio Vaticana, per la prima volta è stato applicato l’articolo 674 del codice penale per punire il reato corrispondente al “getto pericoloso di cose”, equiparando, in modo del tutto corretto dal punto di vista fisico, l’energia del campo elettromagnetico alla materia, uno sviluppo giuridico che potrebbe aprire una svolta positiva nel caso di esposizioni indebite.
Rimane comunque difficile prevedere quali saranno gli sviluppi futuri in un settore dove l’aspetto scientifico non è l’unico ad incidere, come è avvenuto con altri noti inquinanti ambientali riconosciuti tali solo dopo se ne era fatto largo uso per anni. Ritengo utile concludere riportando quanto affermato da Terracini, uno dei più autorevoli epidemiologi italiani, il quale, di fronte alla presunzione e alla pericolosità di certi atteggiamenti rassicuranti, ricorda che …gli scienziati … che accusano di oscurantismo chi guarda con prudenza certe tecnologie non si sono accorti che la nostra capacità di prevedere le conseguenze di certe innovazioni è terribilmente indietro rispetto alla nostra capacità di innovare…
di Fausto Bersani Greggio – Collaboratore CSAAE (Centro sistemi audio visivi acustici elettromagnetici Università Urbino