Come va intesa, cosa diventa “l’elaborazione del lutto”, quando si esce dalle forze individuali e si entra in una dimensione più tragicamente collettiva? Sono domande sottese certo ma a volte avviene, specialmente a chi è abituato a leggere, di comprare un libro che, poi, ci accorgiamo con rabbia di avere già letto, ma che comunque è entrato prepotentemente nell’anima, dandoci la sensazione di dire tutto ciò che da sempre noi stessi avremmo voluto esprimere, senza saperlo ho voluto fare.
Dare voce alla nostra interiorità, soprattutto a quella di chi, come me, che ha varcato la soglia dei cinquant’anni,che ha requisiti per comprendere in tutta la sua essenza i pensieri, le riflessioni, la filosofia di chi fu giovane negli anni settanta, che brulicava di vita dopo il tramonto, ma anche di saggezza perché sentivi i discorsi in quelle case di antichi affetti, dove tavoli non molto imbanditi riunivano, almeno nel ricordo, quelle famiglie patriarcali che ormai non esistono più.
I nonni che vicino al camino raccontavano storie fantastiche di gufi e folletti nel bosco e noi bambini facevamo “oh!”, come la canzone che oggi va di moda, quando i bambini fanno “oh!” c’e un topolino. La fantasia dei bimbi rubata e carpita da spot pubblicitari che appena nati mostrano loro il sogno del padre per lui, una “macchina”. Che tristezza. Quando i bambini fanno “oh!”, c’e un “paperino”, troppo “sfigato”, – paperino? Nessun padre, pur appassionato lo comprerebbe. I figli devono essere sempre i primi della classe come nello sport, ma poi e in caso, meglio i Lego per lasciare ai figli quella fantasia propria dei bimbi, ma ancor meglio, perché non un computer per fare grafici, calcoli e tutto il resto, come ad esempio spianare colline e farci un paio di villette oppure rimodellare pendii tagliando qualche albero secolare, per costruire sempre la stessa cosa, magari chiamiamole villette a schiera con qualche campo da tennis perché il mercato questo vuole. E poi, costruire sui fiumi perché il computer dice che in base ai suoi calcoli si può fare. Norme e leggi che dovrebbero preservare l’ambiente e il territorio non contano per gli eletti e la coscienza si ripulisce in altri luoghi. E poi ristrutturiamo colonie e se non possiamo ristrutturare inventiamole le ristrutturazioni, magari dove alcuni cretini fra noi, che hanno vissuto la loro infanzia in quei luoghi dicono che non si può fare, facendone alveari dorati e sempre, perché il mercato li vuole e poi? Quando i bambini fanno “oh!”,- quel bambino diventato grande, uscirà un giorno di casa e vedrà cosa ha combinato quello strumento infernale chiederà a se stesso, “nonno” che cosa ho combinato!
Rivoglio le tue favole, i tuoi boschi con gufi e folletti . Quando i bambini fanno “oh!”: che meraviglia. Certo che non si vive con le favole, il territorio non è una favola, come non capirlo dai cattivi esempi e tutto ciò non è dovuto a quello strumento, ma ha chi di quello strumento ne ha fatto uso.
I lettori non mi diano addosso se racconto fatti in modo fiabesco, non si tratta di scrittura minore, né solo di scrittura. Vedi! ci vorrebbe anche, non dico in politica dove la poesia non esiste, ma la preservazione del territorio è un bene di noi tutti ma come sempre e purtroppo, ognuno di noi, percorre gli svariati itinerari che la vita ci impone, sempre punti da una nostalgia che ci porta continuamente a sperare nel ritorno. E per quanto mi riguarda un ritorno alle origini, senza il quale la vita non avrebbe speranza, ritorno che non necessariamente è fisico, a volte è soltanto ideale, ma paradossalmente ancor più reale, poiché i ricordi ci fanno ricostruire ambienti e situazioni che il tempo ha inesorabilmente spazzato via.
Occorrono tesori di pazienza e riserve di luminosità espressiva; astrattezza e non leggerezza; occhi e cuore. Allora il risultato può rimanere indimenticabile. Quando i bambini fanno “oh!”: che meravigliose bugie oggi, raccontiamo loro. Ciao.
Giorgio Pizzagalli