L’uragano
Correva l’anno 1964, 8 giugno, erano le 19,30 circa, quando Cesare e Umberto cominciavano a mettere in ordine la spiaggia dopo che i primi turisti lasciavano gli ombrelloni per tornare negli alberghi. Mentre si accingevano a tornare a casa una tromba d’aria nera dal versante di Rimini, attirò la loro attenzione. Nel giro di mezz’ora fu il finimondo; la marea salì di 70-80 centimetri, fino ad arrivare a coprire interamente la spiaggia, gli spruzzi del mare lambivano i lampioni della passeggiata del lungomare. La nostra barca da pesca fu spinta dal mare dentro il Bar Pepo pieno di bibite, gli attrezzi dei bagnanti sparsi ovunque.
Si vuole ringraziare di cuore tutti i clienti, gli amici e tutte le persone che si prodigarono per rendere possibile il recupero di tutto ciò che si era perso, rotto o dimenticato. Grazie a loro tutto tornò come prima in soli tre giorni di duro lavoro.
Che tonno!
Tra gli anni ’30 e ’40 il vecchio Edmondo Fuzzi, mentre svolgeva il suo lavoro di bagnino, vide nella prima fossa (spazio fra la battigia e il primo banco di sabbia), un grosso pesce che si dimenava. Capì immediatamente che si trattava di un tonno. Si tolse la cinghia dei pantaloni e riuscì a bloccarlo per la coda mentre arrivavano in aiuto i tanti turisti che assistevano alla scena. Si buttarono tutti sopra e riuscirono a catturarlo… che tonno!
Cippo di pietra
Nell’angolo più vicino al mare della Mura Majani fino alla costruzione della sopraelevata, vi era un pilone sporgente di circa 1,20 metri e del diametro di 40-50 cm. Qualcuno lesse nelle carte del generale Alexander che questo cippo di pietra delimitava la fine della Pianura Padana. Peccato che questo fatto non venga evidenziato. In passato questo pilone fungeva da argano per coricare le barche quando i pescatori dovevano pulirne il fondo. A forza di fare passare i cavi intorno, il cippo riportava alcune scanalature molto profonde, che testimoniavano l’uso frequente che i pescatori ne facevano. Con la costruzione della sopraelevata, negli anni ’84-’85, il nostro cippo di pietra venne purtroppo sepolto.
Cogolli sulla spiaggia
Nel mare di Cattolica fino agli anni ’70 era praticata la pesca con i cogolli per le anguille. Questi venivano stesi sull’arenile ad asciugare poiché allora erano fatti di cotone e non di nylon come adesso. Questa operazione attraeva sempre la curiosità dei villeggianti che non erano esperti di pesca. Si ricordano con affetto i tre bagnini esperti di questo tipo di pesca: Angelo Prioli (Matin), Lino Masi (Besamadon), Primo Coli (Murot).
Bagnanti, bagnini, cabine
In spiaggia fino agli anni ’60 era richiesto il servizio di gita in moscone e anche la spalmatura della crema solare sulla schiena. Quando le cabine erano fatte a mano in legno, le fessure tra le assi e i nodi naturali del legno sono stati di grande aiuto per sbirciare le ragazze che si cambiavano all’interno. Nasce così il girl watching, ovvero lo spiare dalle fessure.
Barche da pesca
Fino al dopoguerra durante la stagione estiva le barche a vela e i loro pescatori uscivano di notte per pescare e la mattina molto presto, dopo avere venduto il pescato al mercato, le barche venivano ripulite per bene e appostandosi nei punti dove affluivano i turisti, venivano utilizzate come barche da diporto.
Negli anni ’50 si usavano anche i mosconi a vela di 5-6 metri di lunghezza, successivamente sostituiti con i cutter, prima a vela poi con motore ausiliario. La pesca a vela finisce proprio negli anni 50 sostituita da barche più grandi e a motore.
Cesare Fuzzi e la Marina
Il vecchio Cesare (classe 1871) raccontava che in Marina era stato imbarcato su una grossa nave (l’Amerigo Vespucci, probabilmente), fiore all’occhiello della Marina Militare Italiana. La crociera formativa toccava diversi Paesi esteri, ma rimane nella memoria un aneddoto. Approdati in Germania, sulla nave venne organizzato un ricevimento in onore dell’Imperatore tedesco; a fine pasto tutto quel che era avanzato venne buttato in mare mentre l’equipaggio mangiava poco e male. Da qui proseguirono il viaggio fino a New York, dove in libera uscita, Cesare vide i tram transitare “sospesi”. Da quel viaggio portò un oggetto da tavolo, di vetro pesante, raffigurante la Statua della Libertà, che la famiglia Fuzzi tutt’ora conserva.
Il somaro poco somaro
Cesare Fuzzi, il più grande dei fratelli, era solito accompagnare il padre a vendere la frutta al mercato. Un giorno tornando indietro dal mercato sulla Siligata (strada in salita e di curve), il somaro che trainava il carretto si arrestò di colpo e si rifiutò categoricamente di proseguire.
Quindi Cesare e suo padre furono costretti a chiamare un contadino che attaccò il carretto e l’asino ai buoi. Così fino in cima alla Siligata. Dopo quel giorno il somaro (che non era per niente somaro…) arrivando sulla Siligata, si fermava sempre nello stesso punto aspettando cocciutamente l’arrivo dei buoi.
A cura di Dorigo Vanzolini