– Nello squero (il cantiere) lavoravano carpentieri e calafati, il “galafà”: essi erano veri maestri d’ascia che senza alcun progetto, grazie ad una lunga esperienza tramandata da padre in figlio, e ad una rara abilità manuale, costruivano, usando rudimentali attrezzi, perfezionate e solide barche in legno, capaci di tenere validamente il mare.
Loro coadiuvanti indispensabili erano altri specialisti: alberanti, velai, bozzellari, fabbri e canapini. Per la costruzione dello scafo (scheletro e fasciame), veniva usato un particolare tipo di quercia da opera, senza nodi, di cui allora era ricco il nostro entroterra, e anche di legno di pino, di larice e di abete, per gli alberi e le rifiniture.
Le querce, segnate e abbattute, venivano trasportate nel cantiere col “caramat”, carro con due ruote altissime e una lunga stanga, trainato da coppie di buoi. I grossi tronchi venivano posti su appositi cavalletti e i “segantini” provvedevano ad effettuare i diversi “tagli” usando due tipi di seghe: a lama libera o con telaio, che venivano maneggiate a “quattro mani”. Il legname lavorato, prima di essere posto in opera, veniva lasciato all’aperto a stagionare per un lungo periodo.
I più importanti cantieri navali di Gabicce furono: Francesco e Riziero Cola, Pietro Terenzi, Giuseppe Patrignani (fratello dell’impresario edile Vittorio), Giulio Berti, Guido Rondolini, la cui abitazione fu una delle prime di Gabicce Mare con annesso il cantiere navale (dove oggi sorge l’Hotel Majorca).