La festa della Pasqua è una delle massime solennità nella liturgia Cristiana Cattolica e celebra la resurrezione di Cristo con tutto l’alone di mistero che questo comporta. E’ senza dubbio la più antica ed importante del cristianesimo.
Mentre la festa del Natale, fin dopo il terzo secolo dell’Era Volgare, ancora non esisteva, nell’ambito della nuova religione, quale ricorrenza della natività di Gesù, la Pasqua invece già da prima della celebrazione della morte e resurrezione del Cristo, aveva le sue radici che risalivano all’Ebraismo.
Le festività pasquali sono infatti di antica origine ebraica e celebrano il ritorno della primavera con una connotazione di tipo agricolo-pastorale.
La Pasqua è caratterizzata, fin dai tempi antichi, dal sacrificio di un agnello e dalla consumazione del “matza” o pane senza lievito (il pane azzimo perché ricorda la partenza precipitosa dall’Egitto – Esodo XII – 39).
La tradizione bibblica infatti la vuole ricollegare alla commemorazione della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto (vedasi anche nello stesso libro XII dell’Esodo- versi 21 – 23, secondo cui l’Angelo di Dio, ovvero il Signore in persona, si dice abbia parlato a Mosè e ad Aronne, prescrivendo loro di spargere una parte del sangue degli agnelli sgozzati sugli stipiti delle loro porte di casa in modo che egli passando, la notte del quattordicesimo giorno di abìb (poi nisàn) potesse riconoscere le case del suo popolo eletto e passare oltre, per punire e infierire solo sui primogeniti delle case degli egizi e con ciò fare giustizia sommaria uccidendoli tutti).
Questa festa, il cui nome in greco “Pascha” è la trascrizione dall’ebraico “Pesah” “passaggio” (ed è curioso come la forma latina si sia intrecciata con pascua = i “pascoli”); ricorreva, secondo il calendario lunare, dalla vigilia del quindicesimo giorno di marzo (Nisan) al tramonto del ventiduesimo giorno.
I cristiani cominciarono a dare un significato di valore simbolico al sacrificio dell’agnello collegandolo al sacrificio del Cristo ed alla esaltazione della sua resurrezione dalla morte, celebrandola però nella stessa data e nello stesso modo degli ebrei.
Va ricordato che col sopravvento del cristianesimo sorsero anche aspre contese circa la data cui andava celebrata la Pasqua. Le controversie si acuirono tra le varie Chiese per cui alcune tendevano a mantenere l’uso ebraico e la fissavano subito dopo il giorno di digiuno del plenilunio, al quattordicesimo giorno di marzo senza tenere conto di che giorno della settimana fosse (e vennero chiamati “quattordicimani”), altri invece che sentivano di più l’influenza della vecchia festa pagana del sole “Signore Sole” (dies dominica da cui deriva la nostra domenica) non tenevano affatto conto di che giorno fosse del mese, ma si limitavano ad affermare che la crocefissione doveva aver avuto luogo per forza il venerdì e quindi la domenica ci doveva essere la resurrezione.
Fu con il Concilio di Nicea del 325 che i padri conciliari decisero che la Pasqua doveva obbligatoriamente essere celebrata lo stesso giorno da tutta la cristianità e la Chiesa di Alessandria fu deputata a stabilire ogni anno quale dovesse essere il giorno. Due secoli dopo, nel 525, il monaco scita, Dionigi il Piccolo, fissò la Pasqua tra il 22 marzo ed il 25 aprile nella prima domenica dopo il plenilunio di primavera cioè il 14° giorno della luna del calendario e non della luna reale, così la Pasqua divenne una festa mobile e le divergenze si protrassero per alcuni altri secoli ma non solo tra la Chiesa di Roma e le chiese orientali ma anche con la Chiesa celtica fino alla fine del settimo secolo.
Peraltro il termine inglese “Easter” (che vuol dire Pasqua) appare legato alla divinità “Eostre” che veniva celebrata dalle tribù anglosassoni, quale inno alla primavera, lo stesso giorno dell’equinozio primaverile.
La Chiesa Ortodossa osserva tuttora il vecchio calendario giuliano e festeggia la Pasqua 15 giorni dopo ciò che fa il resto della cristianità.
E’ praticamente del tutto diverso il significato del rito della festività pasquale per il popolo ebraico, che celebra la ricorrenza della sua liberazione con una serie di precetti (vedasi nel Pentateuco il “deuteronomio” XVI, 1-8, ma anche il Levitico XXIII e i Numeri XXVIII), rispetto a ciò che vede nella Pasqua il popolo cristiano; il quale immortalizza invece il sacrificio del Cristo e la sua resurrezione ed inoltre fa risalire l’stituzione del sacramento della eucarestia allo stesso Gesù che lo avrebbe attuato nel corso di una celebrazione pasquale del suo tempo.
Le festività pasquali, anche se in tono minore rispetto a quelle natalizie ed indipendentemente dalla fede o meno nei prodigi messianici e miracolosi, genera comunque nell’animo umano un senso di gioiosa accoglienza e predisposizione verso il prossimo che è propria dei giorni di maggiore festa e che però ha breve durata.
Il pensiero corre verso il Medio Oriente, verso i paesi del Golfo Persico e verso tutti i popoli in guerra e verso i potenti della terra che si sentono investiti dall’alto e portatori di certi diritti.
L’augurio migliore sarebbe che finalmente l’uomo di tutti i popoli, quindi tutti gli uomini del mondo, potessero essere assaliti dal dubbio che, nello scontro delle diverse idee ed opinioni, anche gli altri potrebbero aver ragione e che è insensato pensare di avere Dio dalla propria parte e che inoltre è una presunzione da rigettare quella di volersi considerare degli eletti e gli altri dei negletti o comunque degli inferiori da porre sotto tutela e che non possiamo millantare a nostro favore astrusi ed imperscrutabili disegni divini per ergerci a giudici ed a vindici di diritti e di libertà sulla pelle degli altri.
Silvio Di Giovanni