– Le aziende pubbliche, già per la loro sola definizione, sono aziende al servizio della comunità (dei cittadini). Il loro primo fine quindi è il “servizio”. L’elenco dei “servizi” da offrire potrebbe essere lungo: sicurezza, istruzione, giustizia, ecc. nel nostro caso raccolta rifiuti o erogazione di energia.
I principi a cui devono attenersi sono quelli di una qualsiasi attività imprenditoriale: correttezza nei comportamenti con tutti, efficienza, economicità (lo spreco non va bene né nel privato, né nel pubblico) attenzione alle fasce più deboli che usufruiscono dei servizi prodotti, corretta politica dei prezzi di vendita.
Un’azienda pubblica, lo abbiamo appena detto, ha delle responsabilità precise, se poi opera in regime di monopolio le sue responsabilità sociali aumentano in quanto non avendo neppure la concorrenza, che pone dei limiti ai prezzi praticabili, la stessa è unica arbitra del mercato. In questo caso non solo non serve andare in borsa, non dovrebbe assolutamente andarci. La borsa è oggi uno dei pochi mercati dove le poche regole esistenti assicurano una libertà di operare quasi assoluta e dove gli operatori hanno un unico obiettivo “il guadagno – il profitto” senza aggettivi, come viene viene, basta che arrivi. Principi diametralmente opposti a quelli che devono guidare un’azienda pubblica.
Gli utili meritano una breve riflessione: gli utili per un’azienda privata sono un indicatore della validità dell’impresa, per un’azienda pubblica non hanno lo stesso significato. Nell’impresa pubblica devono coesistere due anime: una “privata” che impone che la gestione sia animata da spirito imprenditoriale attento allo sviluppo dell’azienda e ai costi. L’altra eminentemente “pubblica, cioè di servizio”, è quella che deve definire e decidere i prezzi di vendita dei servizi prodotti, che devono tendere al profitto solo nella misura in cui questo serve per far progredire l’azienda e consentirle di servire sempre meglio i sui “utenti/cittadini”. Parlare semplicemente di profitto/utili in un’azienda pubblica è parziale e fuorviante. La risposta secca quindi è: no.
di Gianfranco Vanzini