– A Riccione, Teatro del Mare, la sera del 16 aprile, ha fatto il pieno di pubblico, anche con molti giovani studenti, la recita di David Riondino e Sandro Lombardi sulla prima cantica della Commedia di Dante. E’ già alla quarta stagione teatrale l’esperienza di questi due bravissimi attori fiorentini con il loro recital-spettacolo sull’Inferno del Sommo Poeta.
La regia e la cura dell’opera è di Federico Tiezzi e questa recita inconsueta, accompagnata a tratti anche dalla chitarra, coglie per un’ora ininterrotta l’attenzione del pubblico e lo tiene incollato verso il palco da cui riecheggiano in maniera anche altisonante i versi in un buio interrotto solo da luci del tipo all’occhio di bue.
Lo spettacolo si compone di duetti, di recita in assolo, di stacchi musicali e non solo nella lingua “volgare” ma anche in commenti in lingua moderna. Sono Dante e Virgilio che parlano e commentano facendo esprimere i personaggi danteschi rendendoli anche attuali.
Sono introdotti anche i versi di Pier Paolo Pasolini, con tensione polemica, espressi nella sua “Divina Mimesis”, nonché quelli nelle “Ceneri di Gramsci” che segnano la sua svolta anticipatrice della poesia italiana del dopoguerra.
– Lo spettacolo, che risveglia nel pubblico la memoria, la curiosità e l’interesse della riscoperta, comincia con la descrizione della scena iniziale del primo canto ove rivivono le paure del poeta nella Selva Oscura con il suo voltarsi più volte indietro: …”che nel pensier rinnova la paura”.
Rivive poi il personaggio mitico di Minosse, re della sua Creta; la dolce Francesca che Dante, uomo del suo tempo, non può fare a meno di metterla tra i lussuriosi e che, circondata dalla continua presenza dell’ombra del suo amato, ricorda che: … “la bocca mi baciò tutto tremante”.
Abbiamo poi tra i golosi, il rimatore Ciacco d’Anguillaia tutto dedito in vita a soddisfar la gola alle varie corti dei ricchi gentiluomini ed ora anticipatore profetico delle discordie civili di Firenze.
Assistiamo allo scontro con Filippo Argenti dopo il grido minaccioso del nocchiero Flegiàs.
Emerge poi la figura di Pier delle Vigne, poeta, giurista e ministro di Federico II, caduto in disgrazia del Sovrano ed imprigionato che muore di morte oscura 16 anni prima della nascita di Dante; lo collocherà tra i suicidi.
L’incontro con il venerato maestro e uomo di cultura Ser Brunetto Latini: letterato e notaio in Firenze, collocato nei peccatori di sodomia, cui la religione cattolica li annoverava tra i più gravi ed infami peccati e riservava loro una dura punizione, il quale gli chiede: “Qual fortuna o destino – anzi l’ultimo di qua giù ti mena? – e chi è questi che mostra l’ cammino ?
Dante incontrerà poi gli usurai con le “maledette ricchezze”, perennemente tempestati dalle mosche, dalle pulci e dai tafani e quivi risuonano incalzanti i versi di Ezra Pound contro l’usura.
Nella ottava bolgia sono evocati i consiglieri di frode, colpevoli di adoperare a fin di male il proprio ingegno e qui abbiamo Ulisse che ricorda: “Quando – mi dipartii da Circe che sottrasse – me più d’un anno…” e poi ancora ricorda il suo discorso ai compagni per convincerli ad osare:…”Considerate la vostra semenza: – fatti non foste per viver come bruti, – ma per seguir virtute e conoscenza”.
Nel canto seguente, sempre nell’ottava bolgia, per i consigli fraudolenti dati al nemico di Dante; papa Bonifacio VIII che il 13 giugno 1299 fece distruggere per intero la città di Palestrina, radendola al suolo dopo che si era arresa; hanno evocato la figura del conte Guido da Montefeltro, condottiero di Urbino e capitano generale di Pisa, esponente del mondo degli intrighi e delle violenze nelle terre di Romagna, che chiede al Poeta: “Dimmi se Romaguoli han pace o guerra; – ch’io fui d’i monti là intra Orbino – e’l giogo di che Tevere si diserra”.
E Dante gli racconta i guai della Romagna.
Si chiude la macabra scena dei personaggi, nel cerchio dei traditori, con il Conte Ugolino che belluinamente rode in perpetuo il cranio dell’arcivescovo Ruggeri e racconta l’infamia del: “…traditor ch’i rodo” e la tremenda sorte riservata a lui ed ai suoi piccoli figli e nipoti, lasciati tutti a morir di fame, chiusi nella torre della muda in Pisa:…”Breve pertugio dentro dalla muda – la qual per me ha il titol della fame; – “e termina con una tremenda invettiva di Dante contro Pisa ed i pisani, auspicando, se nessuno rende giustizia di cotanto oltraggio: “…muovasi la Capraia e la Gorgona, – e faccian siepe ad Arno in su la foce, – si ch’elli annieghi in te ogne persona!” e così Dante diventa più spietato dei pisani.
Chiude la cantica l’ultimo canto che descrive i vessilli del re dell’inferno al centro della terra ove, Dante e Virgilio; accompagnati dalle parole di un famoso inno del vescovo di Poitiers del VI secolo che è stato assunto nella liturgia cattolica nel rito del Venerdì Santo e delle feste della Invenzione ed Esaltazione della Croce; i due poeti, passando per un foro, riusciranno a “…riveder le stelle”.
E’ stata una interessante carrellata espressiva dei caratteri e delle vite dei personaggi in un insieme speciale di ritratti consumati nel tempo.
Densa di applausi è stata la chiusura della inconsueta e mirabile messa in scena con la sublime interpretazione dei due attori che hanno trovato sintonia con un pubblico che è apparso competente e preparato al recepimento di un insieme di novità recitative, foderate su di un testo così classico come la Divina Commedia.
Silvio Di Giovanni