di Francesco Toti
– Il troppo e brutto cemento sparso nei 20 comuni della provincia di Rimini negli ultimi 20 anni sono una delle civiltà che lasceremo in eredità. Sull’argomento è scesa in campo anche la curia riminese, con sonore bordate contro le scelte della politica. La portata di tanto grigiume la si può ammirare dall’alto; senza contare tutte le implicazioni sociali (il posto brutto abbruttisce la mente) ed economiche (il costruito è nelle solide mani della cosiddetta speculazione) che fa lievitare i prezzi costringendo il cittadino a lasciare in eredità al figlio oltre alle quattro mura anche il relativo mutuo. Si pone la domanda: di chi la colpa? Si è chiesto ad alcuni prestigiosi architetti della provincia come mai si costruisce tanto e brutto. Che cosa fare per limare questo motivo di fondo di questo particolare periodo della storia locale.
Nello speciale forum: Maurizio Castelvetro (Cattolica), Augusto Bacchiani (Riccione), Davide Uva (Morciano), Gianfranco Giovagnoli (Rimini), Euro Maioli (Misano), Giovanna Mulazzani (Gabicce Mare).
Giovanna Mulazzani, architetto in Gabicce Mare: “Amplierei il concetto ad una realtà sovra localistica in quanto del bel ‘costruire’ si sono perse le tracce anche nel resto del nostro territorio e sempre di più le esperienze di edifici, piani urbanistici e particolareggiati che caratterizzano il paesaggio per la loro qualità, sono esempi unici che il più delle volte non riescono a fare scuola.
Diventano parti di città o di quartiere anomale rispetto alla bassa qualità dilagante. Esempi da pubblicare su Casabella!
Da noi, nella nostra provincia, il regime dei suoli è governato principalmente dalla rendita che si trasforma poi in principio generatore di moltissimi progetti o parti di città e questa non è quasi mai compatibile con la qualità del progetto.
La cultura progettuale è cambiata da quando alcuni imprenditori hanno visto che l’investimernto immobiliare è di facile e veloce guadagno; che la richiesta di alloggi è da anni la forma di investimento principale dei risparmi.
Ma come ho specificato all’inizio questo non è un problema solo nostro.
Da noi però, essendo le rendite di posizione molto elevate, gli interessi in ballo sono proporzionali e quindi il fenomeno è molto evidente.
Quali conseguenze sulla nostra vita?
Credo conseguenze importanti soprattutto per i lavoratori del settore come i professionisti che devono rispondere ad esigenze lontane dalla qualità del progetto.
Una nuova cultura dovrebbe essere quella della ecosostenibilità di cui tanto si parla ma poco si applica; cultura che considera il paesaggio come patrimonio collettivo che può produrre ricchezza (penso a certe esperienze della Toscana) senza il massimo sfruttamento.
Un concetto che vorrei qui sottolineare a cui penso sempre di più nello svolgimento della mia professione, è quello della ‘voglia di lentezza’.
Nelle lezioni americane Calvino ha introdotto questo concetto come non più appartenente alla cultura moderna e di cui però sentiamo la necessità.
La lentezza dei ritmi comporta soprattutto la possibilità di soffermarsi a pensare e anche, perché no, a modificare un progetto che non ci piace.
Significa poter indugiare sulle immagini che possono essere trasferite nel progetto mediante un processo di confronto con la committenza con la speranza che una nuova cultura si ingeneri.
Ma questo è un lusso che non è oggi consentito a nessuno, mentre io credo che questa sarebbe la vera rivoluzione”.
Franco Vico, architetto in Cattolica: “Non credo che si stia costruendo troppo e male, credo invece che troppo spesso le nuove costruzioni siano carenti di una reale qualità; le città della nostra costa, ad esclusione di Rimini, godono ancora di un’età relativamente giovane: non hanno subito quel lento processo di aggregazione e stratificazione per giungere sino a noi, né hanno una tradizione culturale del costruire legata al luogo che avrebbe potuto indicare una strada compositiva.
Le responsabilità
Vorrei sottolineare come alla definizione dello spazio di una città concorrano tanto i pieni dei fabbricati quanto i vuoti urbani, e che nella formazione e percezione dello spazio urbano assumono notevole importanze anche gli arredi, gli spazi pubblicitari, l’illuminazione pubblica, il verde ecc..
Questo significa che le responsabilità vanno suddivise.
Da una parte la politica: l’errore probabilmente è stato quello di normare, attraverso i vari strumenti urbanistici, una continua estensione della ‘periferia’ che si è allargata senza soluzione di continuità lungo tutta la costa e all’interno, senza ipotizzare punti di aggregazione in cui ricreare nuovi effetti di centralità urbana; è come se le pubbliche amministrazioni avessero abbassato la guardia nel perseguire la più desiderabile qualità della città e degli interessi collettivi. Si è persa insomma, da parte politica, ‘l’arte del costruire la città’.
Dall’altra parte la sfera tecnica: sono indubbie le responsabilità di noi progettisti (tutti inclusi), del decadimento della qualità dovuta alla propensione alla routine e soprattutto alla ricerca empatica del consenso di una committenza che, d’altra parte, rimane sempre più votata al massimo profitto preferendo stilemi e progetti per i quali l’obiettivo primario sia il raggiungimento del massimo di edificabilità con la minima spesa, allontanandosi così dai bisogni reali di qualità dell’abitare.
La verità è che in questo modo, nella definizione del prodotto finale, entrano in gioco con prepotenza troppi elementi che relegano in fondo alla classifica le qualificazioni estetiche e qualitative, troppo spesso considerate superflue, ma che in realtà costituiscono il primo livello di percezione di uno spazio, e dalle quali dipende il grado di sfruttamento e godimento dello stesso.
Le conseguenze
Le nostre cittadine non sono brutte o degradate, sono incoerenti e frammentate.
Le conseguenze di tale frammentarietà potrebbero a mio avviso portare al decadimento e all’incuria, sia nella sfera privata che in quella pubblica; le ripercussioni sono ovviamente a discapito dei cittadini.
La conseguenza estrema è la perdita dell’identità di appartenenza.
Ma senza estremizzare, è ormai conoscenza diffusa che la ‘frequentazione’ del brutto è sicuramente mancanza di stimolo per la mente e conseguente mancanza di crescita; va inoltre considerato che questo andrà a costituire insegnamento e quindi base culturale per le generazioni future.
Da un punto di vista meramente economico poi, non sempre una minor qualità significa abbattimento dei costi, perché il costo di un edificio, o comunque di un intervento edilizio in genere, compresi gli arredamenti, va calcolato su tutto il periodo di vita dell’intervento e in base alla rispondenze di questo alle esigenze per cui viene realizzato.
In realtà le possibili conseguenze di una cattiva progettazione o pianificazione sono estremamente estese e vanno considerati sia gli aspetti economici, quelli estetici e se vogliamo psicologici, ma anche quelli di rispetto e valorizzazione del patrimonio culturale, sociale, e naturale che nelle nostre città costituiscono ricchezza principale più che in altre zone; proprio perché terra di turismo che dell’accoglienza fisica fa la propria ragion d’essere.
Che cosa fare per invertire tale tendenza?
Innanzi tutto a livello ‘estensivo’: credo che la consapevolezza e l’orgoglio di far parte integrante di una comunità dovrebbe spingere la volontà di controllo su tutto ciò che di questa società ha funzione rappresentativa, in modo particolare quindi l’ambiente e gli spazi in cui questa società si muove e opera.
Poi a livello ‘intensivo’: semplicemente insegnando ad apprezzare le cose belle e che la qualità della vita di ognuno dipende in grandissima parte dalla qualità del mondo in cui ognuno di noi si muove, e che tale qualità complessiva è frutto della qualità di ogni singola azione e oggetto.
Del resto credo che la comunità abbia già in potenza la capacità di trovare e sviluppare le soluzioni più adeguate, ovviamente il mezzo deve essere l’esercizio attento e corretto dell’architettura in tutte le sue molteplici applicazioni.
Abbiamo comunque buone opportunità per creare centri di eccellenza che possano stimolare il dibattito e il confronto; penso alle numerose aree su cui sarebbe possibile intervenire, magari in piena libertà creativa, realizzando elementi di grande carattere urbano generatori di nuove esperienze e magari di nuovi riferimenti.
Infine, non trascurerei affatto la funzione che svolge il tempo e che molti annoverano come l’unico vero architetto”.
Gianfranco Giovagnoli, architetto in Rimini: “L’elevata densità insediativa, la forte occupazione del suolo, il degrado urbano e ambientale sono il prodotto di politiche urbanistiche e territoriali incentrate nei decenni passati sulla crescita esponenziale indefinita. Un modello, governato dal mercato e dalla rendita immobiliare e finanziaria, che ha consentito il raggiungimento di un acritico “benessere diffuso”, senza misurarsi sul depauperamento delle risorse ambientali e naturali, sulla qualità di vita dei cittadini, sulla qualità dell’ambiente urbano.
Ci troviamo di fronte ad una crisi della politica che ha saputo solo assecondare istanze provenienti da alcune parti forti della società locale finalizzate a politiche di crescita, invece di promuovere politiche di sviluppo incentrate sulla sostenibilità come interesse di tutta la collettività locale. I progettisti hanno rappresentato, ma rappresentano ancora, figure appiattite solamente sulla ricerca di incarichi, senza esprimere importanti contributi progettuali in qualità di esperti nella costruzione della città.
La forte densità insediativa costiera e dei territori intravallivi (l’occupazione del suolo dal dopoguerra ad oggi cresce circa del 500%, la densità edilizia sulla fascia costiera è nel 2005 di 1.074 ab/Kmq.) costituisce una fortissima pressione sul territorio e sull’ambiente. Oggi le città della nostra provincia presentano elevate emissioni di inquinanti e sostanze nocive in atmosfera, elevati livelli di inquinamento da rumori, elevata produzione di rifiuti, scadente qualità ambientale delle acque superficiali, perdita di biodiversità, consumi energetici rilevantissimi. Ciò non può non ripercuotersi anche sulle condizioni sociali e di salute dei cittadini.
Assumere consapevolezza che la crescita economica non rappresenta più un indicatore del benessere di una società, potrebbe favorire la promozione di un nuovo modello di sviluppo basato sulla sostenibilità, sulla riduzione della nostra impronta ecologica, su processi partecipativi che coinvolgano nelle decisioni tutti i cittadini. I temi imprescindibili, da affrontare oggi, per una riqualificazione del territorio provinciale sono la ricostituzione degli ecostitemi naturali, l’arresto immediato di ulteriore occupazione del suolo, il decongestionamento edilizio delle città costiere e la ricostituzione di un patrimonio di aree libere verdi, la riorganizzazione del ciclo delle acque, la riduzione e il recupero dei rifiuti, la riduzione delle emissioni di CO2 e il ricorso a fonti energetiche rinnovabili”.
Davide Uva, architetto in Morciano: “Vorrei partire da un discorso di natura prettamente economica, per poi approdare a considerazioni architettoniche, ambientali e territoriali.
Nella fase di stagnazione che negli ultimi anni ha caratterizzato l’economia del nostro paese, il settore delle costruzioni ha mostrato dinamiche fortemente espansive.
L’attenzione degli investitori per le costruzioni ed il mercato immobiliare risale alla fine degli anni ’90 e beneficia della fase espansiva dei mercati borsistici e dell’euforia dei guadagni facili che l’avevano alimentata. In seguito lo scoppio della bolla speculativa della “new-economy”, avvenuta nel 2000, e la costante riduzione dei tassi di interesse bancari, hanno favorito quella che vorrei definire ‘febbre’ del mattone. La debolezza delle alternative di investimento in termini di remunerazione del capitale e l’incertezza di un clima economico e politico, nazionale ed internazionale, hanno portato le famiglie e gli investitori a perseguire l’obiettivo di migliorare le proprie condizioni abitative e patrimoniali immobiliari.
Gli effetti di questo complesso e nuovo interesse al ‘mattone’, all’investimento edilizio, si sono concretizzati in un incremento sorprendente, nel giro di pochi anni, delle compravendite e dei prezzi dei prodotti immobiliari, sino a raggiungere nel nostro paese livelli mai toccati in passato.
Il boom dei prezzi immobiliari ha raggiunto tali livelli di guardia tanto da far pensare sempre più ad una nuova e pericolosa bolla speculativa. Dovrei specificare inoltre che l’incremento degli scambi e soprattutto dei prezzi del mercato immobiliare non è solamente un fenomeno italiano, ma un fenomeno che ha interessato l’insieme dei paesi industrializzati.
Fatte queste precisazioni dovremmo analizzare se tutto questo ‘fervore’ e ‘operosità’ edilizia abbiano prodotto realmente migliori condizioni abitative, migliori servizi e infrastrutture, e quindi migliori qualità della vita e qualità architettonica.
Di fronte a realizzazioni riuscite, abbiamo assistito, troppo spesso, a scelte deludenti e ad un uso poco corretto del territorio con insediamenti di natura intensiva, anche in situazioni sensibili dal punto di vista ambientale. Abbiamo assistito, troppo spesso, ad opere incongrue, a costruzioni dalla dubbia qualità architettonica e funzionale non riconoscibili per idealità, originalità, estetica, cultura ed innovazione.
Si dovrebbe, a mio avviso, instaurare un organico sistema di rapporti in cui realtà pubbliche e private, enti locali e istituzioni interagissero per il bene comune, per la crescita culturale e qualitativa della collettività. Occorrerebbe inoltre una classe politica preparata e di qualità che fosse dotata delle competenze necessarie.
Troppo spesso in passato sono state fatte scelte che hanno compromesso definitivamente larghe parti del territorio.
Scendendo nel dettaglio della nostra realtà locale, soprattutto quella costiera, come non menzionare tutto ciò che è avvenuto negli anni sessanta, uno sviluppo disomogeneo ed arbitrario frutto di errate politiche urbanistiche, uno ‘scempio’ architettonico ed un uso indiscriminato del territorio tanto che oggi è stato coniato un nuovo termine: ‘riminizzazione’, che è già entrato nel vocabolario collettivo, inteso in senso dispregiativo, per indicare un modello di sviluppo selvaggio e senza regole.
Ed è anche vero che spesso certe realizzazioni sono frutto di scelte avvenute da parte di una committenza miope, non preparata, che ha sempre anteposto e privilegiato i piccoli interessi di ‘bottega’ a scelte più ardite, più innovative ed edificanti.
Non meno responsabilità hanno i progettisti che, stretti nella morsa committenza – norme burocratiche, hanno spesso favorito opere dalla cui lettura si evince che l’aspetto fondamentale, architettonico ed ambientale, è passato spesso in secondo piano.
Va menzionato inoltre che fra questi, soprattutto in passato, il dibattito e la progettazione architettonica è stata portata avanti da figure professionali anomale, prive di quelle conoscenze e specializzazioni specifiche.
Frank Lloyd Wright sosteneva, già quasi un secolo fa: ‘Io dichiaro che è giunta per l’architettura l’ora di riconoscere la sua natura, di comprendere che essa deriva dalla vita e ha per scopo la vita come oggi la viviamo, di essere quindi una cosa intensamente umana’.
Quindi non più spazi,forme architettoniche, funzioni, decorazioni slegate dalla vita, ma tutto strettamente connesso ad essa.
Una vita intesa nel senso più pieno del termine: naturale e spirituale, individuale e come partecipazione alla civiltà.
La vera architettura è sempre in divenire rispetto all’uomo, al luogo e al tempo.
Oggi, in una civiltà in pieno rinnovamento, è necessaria un’architettura organica contemporanea adeguata alle nuove condizioni dell’uomo e della natura.
L’ambiente non è un luogo amorfo nel quale l’uomo si trova collocato, ma un sistema complesso che si mantiene tramite il funzionamento delle sue componenti in una condizione di omeostasi tale da consentire la vita al suo interno.
Pertanto l’ambiente non è il luogo in cui l’uomo vive, ma è il sistema a cui appartiene, di cui fa parte e di cui condivide le sorti.
Il territorio ha peculiarità sue proprie che l’uomo deve riconoscere, rispettare e prevedere quando opera scelte sociali ed economiche e che non può sottovalutare per non dare origine a forme di ‘rigetto’.
Il territorio ha subìto negli ultimi tempi una trasformazione radicale: da risorsa naturale a sfruttamento.
Il territorio infatti è il bene più prezioso che una comunità possiede.
Il suo uso e il suo sfruttamento permettono una vita più o meno di qualità e le comunità che non hanno saputo proteggere il proprio ambiente hanno dovuto pagare prezzi altissimi sia per quanto riguarda le persone sia per le risorse materiali.
E’ necessario quindi riuscire a definire un giusto equilibrio tra la necessità di crescita e la necessità di salvaguardia e tutela dell’ambientale.
Per citare un esempio, l’assalto alle zone dell’entroterra e collinari, cha ha colpito nell’ultimo decennio, ha causato il formarsi di nuclei abitativi che hanno perso, in parte, la loro funzione storica di rappresentare una comunità ben precisa, diventando invece degli agglomerati anonimi e dei quartieri ‘dormitorio’, aumentando quindi quel perverso meccanismo sociale di disinteresse per il territorio in cui si vive e di disimpegno sociale.
Occorrono quindi delle azioni di tutela e valorizzazione del territorio indirizzate a promuovere un uso durevole e sostenibile in cui le risorse ambientali (e quelle economiche e sociali) siano utilizzate senza compromettere la futura qualità e capacità di rinnovarsi.
Uno sviluppo veramente armonico e durevole deve interpretare le domande del futuro (ad esempio la domanda di servizi e di qualità ambientale, saper continuamente rivedere e rinnovare la proprie strategie, riqualificare le condizioni territoriali, infrastrutturali, dei servizi, ecc., che lo sorreggono.
Occorre quindi ribadire l’importanza di uno sviluppo improntato sulla qualità piuttosto che sulla quantità come purtroppo è avvenuto fino ad ora.
Futuro
Occorre, a mio avviso, promuovere e sviluppare la ‘cultura del territorio’, stimolare la coscienza critica nelle trasformazioni ed una certa sensibilità nella salvaguardia e tutela dell’ambiente, della cultura e delle tradizioni.
Ritengo che la cultura del territorio debba avere una importantissima funzione di sollecitazione e di indirizzo verso lo sviluppo delle comunità locali, sulla capacità di creare relazioni sociali e sulla qualità della vita, sulla gestione delle risorse architettoniche, ambientali e culturali.
La cultura del vivere il proprio territorio dovrebbe essere connaturata in tutti gli individui, pertanto implica un processo formativo ed educativo.
Architetti, paesaggisti, ambientalisti ed economisti, tramite le loro conoscenze, dovrebbero interagire maggiormente per individuare modelli di sviluppo sociale ed economico che favoriscano un’economia sostenibile la quale non comprometta l’ecosistema in cui è inserita.
Dovrebbe essere un approccio interdisciplinare che abbia come obiettivo il giusto rapporto tra la tutela del territorio e l’economia cercando di escludere il prevalere di quest’ultima.
Inoltre, ‘cultura del territorio’ significa anche il tentativo di organizzare e di tradurre in termini progettuali, mettendo da parte i campanilismi che spesso affiorano soprattutto nella nostra realtà, il recupero del senso del luogo che va affiorando sempre più prepotentemente come bisogno di identità ed appartenenza.
Quell’identità ed appartenenza che dovrebbe diventare sempre più attiva e non delegata. Da qui discende il ruolo delle istituzioni, i primi soggetti chiamati in causa in questa fase di coordinamento tra le varie componenti: ecologiche, economiche, sociali, private, ecc.
Nel nostro sistema, così complesso, la pianificazione purtroppo esige nuovi approcci: la sfida della complessità, come ricorda Morin, può essere affrontata con successo tramite una maggiore complessità, ovvero una maggiore ideazione di risposte multiple ed intelleggibili”.
Maurizio Castelvetro, architetto in Cattolica: “Quello che noi definiamo ‘brutto’ è in verità ‘bello’ per chi lo costruisce, per chi lo compra e per chi ci abita.
In verità si tende a chiamare ‘bello’ ci? che si avvicina al modello televisivo e sociale, che da noi significa l’incrocio tra il cottage di campagna, il tempio imperiale e la villa hollywoodiana e concentrati in 50 mq. di spazio.
La bellezza nasce non dal ‘gusto’ personale ma da un principio etico – non solo estetico – condiviso e, siccome viviamo in tempi di etica confusa, viviamo in mezzo alle imitazioni a basso costo ed al caos che vengono spacciati per bellezza.
Brutto è ciò che è falso: ciò che vuole apparire senza essere non è bello ma solo vistoso, presuntuoso, sgraziato.
Siamo tutti responsabili, ma più di tutto sono il consumismo e la cosidetta ‘cultura di massa’.
I geometri fanno il loro mestiere, costruire; gli architetti sono costretti a ragionare come i geometri (e in molti casi lo sono nei fatti); i committenti guardando molto la televisione sono convinti di sapere cosa vogliono; i costruttori considerano il territorio un terreno di caccia, anche di frodo; i politici rappresentano queste categorie, e quindi spesso si adeguano.
Causa ed effetto si mescolano alimentandosi a vicenda.
Occorrerebbe una concezione di ‘bellezza di massa’ che è quella che storicamente è più vicina al design di oggetti che all’architettura: un secolo fa esisteva una idea di ‘decoro’ nella borghesia italiana che si traduceva nei tanti villini che abbiamo anche sulla Riviera.
Oggi invece il feticcio del denaro, del successo e dell’apparenza sta assumendo dimensioni allarmanti e ridicole, proporzionalmente allo spessore dei cornicioni negli edifici ed al numero di archi e colonnine.
Dal mio punto di vista stiamo assistendo ad un vero e proprio decadimento culturale e di valori, travestito da apoteosi e difesa di una presunta identità tribale.
Non ci sono ricette semplici in una società complessa: grandi questioni e piccoli comportamenti personali hanno pari rilevanza. Perché sarebbe sano e utile dare spazio al dibattito ed al confronto; mettere al primo posto la Natura e non il Cemento; amare i dettagli; rivedere una idea malata di sviluppo che coincide oggi solo con l’aumento del reddito e della rendita; ‘votare’ i progetti esaminati dalle Commissioni Edilizie, con lo stesso criterio con cui ciò avviene nelle competizioni sportive; creare invece di copiare; considerare l’identità di ogni edificio ed imparare a rispettarla, perché parla di chi siamo noi”.
ARCHITETTURA
Giovanni Gandolfi, premio alla qualità
Morto nel 2004, romano trapiantato a Rimini,
è stato uno dei protagonisti dell’architettura riminese
Quattro sezioni: architettura, pianficazione, paesaggistica, conservazione. Opera vincitrice: Centro servizi di Riccione
– Giovanni Gandolfi è morto nel 2004. Per ricordarne la figura l’ordine degli architetti ha istituto il premio biennale di architettura contemporaneo “Giovanni Gandolfi”. Per dargli forza e prestigio, è stato realizzato con il Collegio dei costruttori e la Provincia di Rimini. Romano di origine, professore all’università “la Sapienza” di Roma, Gandolfi arriva a Rimini negli anni Cinquanta. Progetta molto, puntando alla qualità. Tra i suoi molti lavoro: i quartieri Peep di San Giuliano e Marecchiese, la banca nella centrale via Garibaldi di Rimini.
Il Premio ha 4 sezioni: architettura (vincitore: progettista Stefano Matteoni; costruttore: Consorzio Artigiani Riminese; committente: Centro Servizi Srl – Riccione), pianificazione; paesaggistica; conservazione (Progetti vincitori ex aequo: “Il fascino barocco Chiesa S. Bernardino Rimini”, progettista: Armando Baccolini; costruttori: Imprese Edili Benzi Costantino; Arcangeli Giuseppe Rimini; committente: Provincia Minoritica di Cristo Re – Bologna. “Consolidamento Pieve Santa Cristina Rimini”; progettista: Federico Foschi; costruttore: Impresa Edile SCR Italia s.r.l. Pesaro; committente: Diocesi di Rimini – Rimini).
La commissione che ha scelto era composta da: Marco Zaoli (presidente), Gianni Braghieri, Marcello Balzani, Massimiliano Sirotti, Giuseppe Bellei Mussini e Raffaele Mussoni.
“Il regime dei suoli è governato dalla rendita che si trasforma poi in principio generatore di moltissimi progetti o parti di città”
Giovanna Mulazzani
“E’ come se le pubbliche amministrazioni avessero abbassato la qualità della città e degli interessi collettivi. La politica ha perso ‘l’arte
del costruire la città’
Franco Vico
“Il degrado urbano e ambientale sono il prodotto di politiche urbanistiche e territoriali incentrate sulla crescita esponenziale indefinita”
Gianfranco Giovagnoli
“I progettisti, stretti nella morsa committenza-norme burocratiche, hanno spesso favorito opere dove l’aspetto architettonico ed ambientale, è in secondo piano”
Davide Uva
“La bellezza nasce non dal ‘gusto’ personale ma da un principio etico – non solo estetico – condiviso e, siccome viviamo in tempi di etica confusa”
Maurizio Castelvetro