Il libro, che ognuno può comunque ritirare all’ufficio Istruzione, entra nelle case cattolichine per arricchire quella biblioteca di memorie del nostro passato e che da anni va facendosi sempre più corposa. Fino a qualche decennio fa non esisteva una pubblicistica della ‘storia di Cattolica’ così numerosa e variegata come si trova oggi. Poi in principio fu… la Lucia. E grazie proprio a Maria Lucia De Nicolò che, con il metodo rigoroso della ricerca storica ha riportato alla luce e classificato in modo ordinato la storia della nostra città, oggi possiamo sapere come eravamo. Poi si sono mosse anche tante altre persone che, pur senza gli stessi strumenti scientifici, ma come semplici custodi di memorie, hanno voluto contribuire a fissare per iscritto il loro patrimonio di ricordi. E ogni apporto è un tassello prezioso alla storia della nostra comunità.
Il libro “Cibi e tradizioni…”, stampato grazie alla BCC di Gradara, si differenzia da tutte le precedenti opere per l’argomento principe che è il cibo. Non è un manuale gastronomico nè solo un libro di storia. E’ un’opera composita dove le descrizioni scientifiche degli esperti sui prodotti alimentari del nostro territorio, s’intrecciano alle analisi storiche e sociologiche, alle antiche ricette delle nonne e ai ricordi di un tempo perduto. Il libro è inserito anche nel grande progetto “Il senso del mare” di cui M. Lucia De Nicolò è ideatrice e direttore scientifico, e che pone Cattolica al centro di un laboratorio permanente per gli studi del Mediterraneo. Infatti il tema conduttore di quest’anno è proprio l’alimentazione mediterranea. In “Cibi e tradizioni…” Stefano Cerni, agronomo, e Adriano Mattoni, esperto di flora selvatica, presentano una serie di schede veramente preziose alla conoscenza delle piante e coltivazioni per uso alimentare, come anche per la produzione dei formaggi . Il loro racconto è comunque un contrappunto continuo tra presente e passato che incuriosisce il lettore oltre la mera informazione scientifica. Così pure per il capitolo sulle “sostanze grasse” del Prof. Giovanni Lercker si viaggia tra storia antica e scienza moderna. Il tutto arricchito da illuminanti tabelle parametriche dei valori nutrizionali degli alimenti. C’è poi la sezione ghiotta: “Le minestre dimenticate”, “Le buone erbe spontanee” e “I dolci della tradizione”. Non solo ricette ma anche tanta storia della nostra cucina e della nostra cultura marinara mescolata con quella della vicina campagna: tutta un’appassionata raccolta di ricordi legati alla tavola, fatta da Gigliola Casadei. L’ultimo capitolo, “La parola ai padroni di casa”, è nato invece da una serie d’interviste che ho rivolto io ai gestori dei locali dove sono state effettuate le degustazioni dei cibi della tradizione relative agl’incontri di “Cattolica da gustare”. Fare parlare i “padroni di casa” non è stato semplice: non avevano mai tempo e ogni tentativo di discorso ordinato,veniva immancabilmente interrotto o dal telefono o dal loro lavoro. Inoltre io volevo ricostruire, con la storia del singolo locale, anche uno spaccato della vita sociale della città a quei tempi. Infatti ne è uscito una sorta di mosaico storico-antropologico molto semplice ma curioso e che restituisce alla memoria collettiva qualcosa del tempo di quel ‘piccolo mondo antico’: marinai, bottai, dancing e discoteche. Ricordi dagli anni ’30 in poi dove le donne ebbero spesso un ruolo determinante in quelle attività allora pionieristiche. Ci sarebbe stato il Marittimo senza la Betta? E l’osteria della Zaira, poi passata ad Antonio, senza lei? Neppure la pasticceria Staccoli sarebbe nata senza mamma Assunta e la ‘pasticciera’ Giulia con l’esercito di sorelle, tutte ‘votate’ alle paste. Anche per Lino Renzi la figura della madre è stata determinante: lo aveva così abituato a una buona cucina, che lui, dopo una vita a gestire discoteche, sente la vocazione per il ristorante.
Ma la parte del libro propriamente ‘storica’ è quella relativa al primo capitolo: “I cibi della tradizione. Ambiente e storia” di M. Lucia de Nicolò. La sua carrellata storica attraversa tutte le epoche: dalle più antiche a quella dei nonni. Racconta come le tipologie di cibo erano scandite dal calendario liturgico e stagionale e come le condizioni economiche e sociali determinassero la qualità e la quantità delle nostre vecchie mense. Persino il ‘pan di gesso’ si consumava durante le carestie mentre le minestre brodose erano il piatto base della nostra cucina quotidiana. Minestre inventate con gl’ingredienti poveri a disposizione: erbe, verdure, fagioli, ceci, lardo, conserva, poveracce e pesce di scarso pregio. Non dovevano essere poi tanto male se la cuoca era brava. A riscattarci dall’angustia delle ristrettezze, c’erano comunque i piatti e i dolci delle feste, quelli che ancora si fanno per tradizione. Per fortuna.
Una nota a parte merita Dorigo Vanzolini che ha curato l’apparato iconografico il quale conferisce all’opera un tocco d’arte e di poesia.
di Wilma Galluzzi