– La sera di domenica 18 giugno scorso si sono concluse le manifestazioni culturali del “Festival del mondo antico”, di cui, un incontro conclusivo, abbiamo avuto il piacere di vederlo ospitato a Cattolica nella nostra accogliente Piazza Mercato.
Presiedeva lo storico Lorenzo Braccesi esperto del mondo romano e greco che, con vibrante passione, ha esposto e decantato alcuni passi salienti di opere di vari autori antichi e medioevali (vedi Dante rievocatore dei nostrani “Venti di Focara”) ed ha poi introdotto lo scrittore Valerio Massimo Manfredi, archeologo e viaggiatore che ci ha intrattenuti nel significato antico ed attuale dello spirito del viaggio come indagine, del viaggio come scoperta e come soddisfazione di apprendimento culturale e non solo di mero svago.
Ha preso poi la parola il giornalista Marco Guidi, inviato di guerra che ci ha descritto con viva puntualizzazione le situazioni del giornalista e la sua vita di pericolosa avventura per divulgare informazioni e verità anche scomode e contrastate, durante i conflitti armati.
Infine il dottor Angelo Varni, cultore di storia contemporanea che ha tra l’altro illustrato con puntuale ed attuale riferimento premonitore tutta la delusione di Giuseppe Mazzini, dopo la presa di Porta Pia, in relazione al forzato sbocco della nuova Unità Nazionale nelle braccia di quella poco gloriosa monarchia Sabauda.
Aveva evidentemente un sesto senso quel Patriota e la sua aspirazione dovrà purtroppo attendere altri settantacinque anni prima che si compia, con la Resistenza, l’intero ciclo del Risorgimento con l’avvento della nostra Costituzione, parto dei nostri Padri Costituenti.
Costituzione che brilla di indubbia portata storica di contenuti e che risente dell’influsso del vento transalpino di quell’Illuminismo ispiratore di quella che fu la grande esperienza della Repubblica Romana in quella primavera del 1849 soffocata nel sangue dalla reazione papalina.
Varni non ha avuto il tempo materiale disponibile in quella serata, densa di interventi, di disquisire su questa stupenda esperienza che è stata mirabilmente descritta da Carlo Fracassi nella sua “Meravigliosa storia della Repubblica dei Briganti” (Mursia, 2005).
Quei patrioti, che il Pontefice li definirà: “Briganti, forsennati, senza Dio, gente sacrilega, mostri di fellonia ed empi, per cui ampiamente si giustificava, a suo dire, l’uso della scomunica (“Spada di giusta severità a tal scopo dataci dallo stesso Divino Giudice”. E che si origina dal Concilio di Trento), erano, questi “briganti”, tra gli altri: – Giuseppe Mazzini – Carlo Armellini – Aurelio Saffi – Giuseppe Garibaldi – Luciano Manara – Enrico Dandolo – Goffredo Mameli e tanti e tanti altri, buona parte dei quali perderanno la vita nelle battaglie per la difesa di Roma contro le truppe d’invasione francesi di Luigi Napoleone, chiamati dal sovrano Pio IX per invadere Roma, distruggere la Repubblica e ripristinarlo sul trono.
Infatti, quest’ultimo monarca assoluto, fuggito nottefonda da Roma travestito, assieme ai suoi cortigiani, la notte del 24 novembre 1848, per essere poi accolto dal sovrano partenopeo Ferdinando II nel Palazzo Reale di Gaeta, occuperà tutto il suo tempo, ben aiutato dal suo fidato e astuto cardinale G.C. Antonelli, in una serie di ingiustificati insulti di fronte al mondo con pressante e giornaliera richiesta, per tutto il tempo, agli Ambasciatori delle potenze europee tipo Austria, Francia, Spagna, Russia, Inghilterra, ecc… illustrando loro una inesistente apocalittica situazione in Roma, per giustificare, con insistenza, di invaderla per reintegrarlo nella sua veste di regnante che aveva lui stesso poco prima disonorevolmente abbandonato.
Tra i giovani martiri così insultati mi sovviene la figura del poeta e soldato, figlio della nascente Patria, Goffredo Mameli, morto il mattino presto di un funesto venerdì 6 luglio 1849, (corre quindi in questi giorni il 157° anniversario della sua morte), stroncato dalla cancrena che gli stava divorando il corpo, dopo l’amputazione della gamba per la grave ferita al ginocchio di quel pomeriggio di aspri combattimenti di domenica 3 giugno di un mese prima, nella difesa di Villa Corsini, ai Quattro Venti, ove persero la vita sul campo il fior fiore di una generazione di quei mirabili Patrioti quali Alfredo Masina, Francesco D’Averio, Enrico Dandolo, Emilio Morosini, Ramorino, Panizzi, Melara, Cazzaniga e tanti altri che, con i duecento bersaglieri di Luciano Manara, si immolarono tutti contro le soverchianti forze di invasione del bene armato e nutrito corpo di spedizione francese chiamato da Pio IX a più riprese per invadere e soffocare quella nascente Repubblica Romana la cui Costituzione sarà poi, nel tempo, ammirata da tutti i popoli democratici.
Era nato a Genova il 5 settembre del 1827 Mameli, di cagionevole salute era stato avviato allo studio che aveva già 13 anni e, con una incredibile dedizione e forza di volontà, nel 1843 entrava già all’Università.
Nel marzo del 1848, alle prime notizie della rivolta di Milano, parte per la Lombardia assieme a trecento giovani e partecipa attivamente alle 5 giornate di Milano con un corpo di cento Volontari. Qui conosce Mazzini. Nel novembre dello stesso anno è con Garibaldi a Ravenna e quindi a Roma ove, alla fine di novembre la ingiustificata fuga di Pio IX aveva lasciato Roma e lo Stato Pontificio senza governo.
Parteciperà attivamente alla formazione della Repubblica Romana ed alla sua Costituzione.
Fu lui l’autore del famoso e telegrafico invito al Mazzini dal testo: “Roma, Repubblica, Venite”.
Fin da giovanissimo fu poeta in versi di appassionata intonazione romantica, compose l’Ode ai Fratelli Bandiera, la Battaglia di Marengo, ma quello che lo immortalò ai posteri fu il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come l’Inno “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta” quando aveva vent’anni nell’autunno del 1847, musicato da Michele Novaro.
Giuseppe Verdi, nel suo “Inno delle Nazioni” del 1862 sceglierà questo canto e non la Marcia Reale, per simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto alla “Marsigliese”, per il suo alto contenuto e l’impeto della musica e bene fecero i nostri Padri il 12/10/1946 ad assumerlo come inno nazionale della nostra Repubblica Italiana.
Mentre ringraziamo di tutto cuore il Presidente Carlo Azeglio Ciampi per averlo così caldamente sostenuto e rinverdito a tutti noi e specialmente ai giovani suscitando l’orgoglio di essere un popolo repubblicano e democratico, ci sentiamo il dovere di fermare per un momento, il nostro pensiero nel ricordo di questo giovane Patriota che non aveva ancora compiuto 22 anni e moriva per l’Unità d’Italia e per la difesa di quella nuova e stupenda esperienza di Repubblica.
di Silvio Di Giovanni