Alla vigilia delle elezioni la vecchia maggioranza di centro-destra (molta destra e poco centro) aveva cambiato la legge elettorale, inventando un sistema fatto apposta per impedire all’opposizione di vincere le elezioni.
Un primo miracolo fu il risultato elettorale, favorevole al centro-sinistra: nel trabocchetto della legge elettorale finì il centro-destra che l’aveva costruito. Dentro questo miracolo se ne celava un secondo: la televisione non bastò al centro-destra, il cui capo, padrone di tutta l’emittenza privata e di due terzi di quella pubblica, aveva confermato la sua abilità di manipolatore dell’opinione pubblica ed era riuscito ad approfittare del balbettio televisivo e degli errori del capo del centro-sinistra. Costui era andato impappinandosi sulla questione fiscale, saltando goffamente da un limite all’altro in materia di ripristino dell’imposta di successione, e il suo avversario ne aveva approfittato spavaldamente, fino a promettere l’abolizione dell’imposta comunale sugli immobili: tanto – doveva aver pensato – agli elettori non importa nulla dello sfascio dei conti pubblici da me provocato e nuovamente minacciato con le mie promesse fiscali, né essi sanno che cosa sia la competitività delle merci italiane da me mortificata nel capitolo del bilancio statale “ricerca e innovazione”, e nuovamente insidiata dalla mia demagogia.
Dunque il 9 e 10 aprile 2006 ci fu la sconfitta degli Italiani “televisivi”, la cui cultura era – con licenza parlando – quella del Grande Fratello, ad opera degli Italiani che leggevano e non si lasciavano rimbecillire dalla tv spazzatura loro imposta. I Guelfi furono sconfitti dai Ghibellini. Un miracolo nel miracolo fu la vittoria degli Italiani capaci di votare anche contro i propri interessi materiali, come fu il caso del Della Valle, pronto a versare una cospicua imposta di successione pur di salvare la democrazia del suo paese dai pericoli insiti nello strapotere di una sola persona.
Quella persona era ammirata dai suoi seguaci soprattutto perché aveva “fatto i soldi”. Tanti, tantissimi. Come li avesse fatti, importava poco a parecchi dei suoi seguaci. I quali, dinanzi ai suoi guai giudiziari, lo ammiravano non già perché lo ritenessero innocente: anzi, proprio perché pensavano che innocente non fosse, ne ammiravano le leggi da lui varate a suo favore, che gli avevano permesso di prendere per il naso i giudici e di chiamarli “toghe rosse”. Il suo smisurato potere aveva attirato, come ogni lordura fa con le mosche, uno stuolo di transfughi del comunismo, del socialismo, del liberalismo, della democristianeria, trasformandoli in una corte di lacché ubbidienti sempre ai suoi ordini.
Non salvò dalla sconfitta il centro-destra neppure l’uso della religione come strumento di propaganda politica, purtroppo non ostacolato dalla maggioranza dei prelati italiani. Invano il centro-sinistra fu stigmatizzato come nemico della famiglia: un valore presentato, da dirigenti della maggioranza che talvolta di famiglie ne avevano più d’una, come se fosse insidiato dalle proposte del centro-sinistra intese a riconoscere qualche diritto alle unioni di fatto. Invano dalle file del centro-destra uscì il grido d’allarme per il pericolo della sfida musulmana alla civiltà occidentale e cristiana. La crociata dei centro-destri cattolici integralisti e dei centro-destri atei-devoti non fece abbastanza colpo sull’elettorato cattolico, che già aveva sconfitto le campagne democristiane in occasione dei referendum sul divorzio e sull’aborto, e si rifiutava di considerare illecito per la società civile tutto ciò che per il cattolicesimo era colpa, peccato mortale. La secolarizzazione dello Stato dava anche a loro cattolici dei vantaggi ai quali non erano disposti a rinunciare.
Analogo discorso lo storico del futuro farà a proposito del tentativo di spaventare gli Italiani con l’arma spuntata del cosiddetto pericolo comunista: altro fallimento clamoroso. Il suddetto storico saprà anche come il capo del centro-sinistra avrà cercato di risolvere, dando finalmente il meglio di sé ma con una maggioranza risicata al Senato, i problemi del debito pubblico, del disavanzo finanziario e della precarietà del lavoro giovanile lasciatigli in eredità dal peggiore governo italiano degli ultimi sessant’anni, dalle cui file era uscita anche la bella pensata della necessità di “convivere con la mafia”, ossia con il cancro che paralizza lo sviluppo del Mezzogiorno. Noi, che non siamo “di spirito profetico dotati”, ci fermiamo qui, animati soltanto dalla speranza che nei prossimi anni gli Italiani che leggono (o Ghibellini) sappiano aiutare ed educare gli Italiani che non leggono (o Guelfi), superando in tal modo la spaccatura che oggi divide l’Italia in due parti quasi uguali.
di Alessandro Roveri
Professore di Storia contemporanea all’Università di Ferarra