Il centrosinistra si macchia, come primo atto di governo, con una legge vergogna. Tra inciuci, ricatti e accordi al limite del losco, è stato consumato un atto da peggiore “Repubblica delle banane”. Parafrasando il Manifesto di Marx, oggi la sinistra potrebbe vantarsi di questo motto: “Corrotti e delinquenti di tutto il mondo unitevi”. Non sono bastate le proteste, anche interne al governo (vedi Di Pietro – che ha definito i fautori di questo indulto allargato, compresa l’Unione, “Banda Bassotti” -, Gerardo D’Ambrosio, l’astensione dei Comunisti italiani…), niente! Il patto scellerato doveva consumarsi come un promesso e lauto banchetto. Non è servito a niente il sondaggio che vede contrari il 96% degli italiani.
L’Unione (che io ho votato) pagherà un alto prezzo politico. Una scivolata ignobile sul “problema dei problemi” (la questione morale), dopo cinque anni di attacchi, ironie e manifestazioni contro la “degenerazione istituzionale e democratica del governo Berlusconi”. Ma allora ci avete preso per il sedere? Si è parlato di clemenza e di poveri cristi in carcere che vivono condizioni incivili… (che vigliaccheria!). Ma qui di clemente c’è solo Mastella e di “bella” politica c’è solo quella del patto “oscuro” tra Brutti (Ds) e Pecorella (Fi).
Ha centrato in pieno il problema Barbara Spinelli: “La legge sull’indulto è molto di più di un errore. Nasce da una profonda, radicata indifferenza alla cultura della legalità e al rapporto sano fra Stato di diritto ed economia”.
Giancarlo Caselli: “Nella pretesa di estendere l’indulto ai reati finanziari e di corruzione, si può vedere il tentativo di strumentalizzare la sofferenza di migliaia di detenuti per ottenere benefici per i colletti bianchi”. Francesco Pardi: “Non avevamo votato centrosinistra per avere leggi di centrodestra. Si era pronti ad ingoiare rospi, non a bere veleno”. Nando Della Chiesa: “E’ stato il trenino dell’impunità. Dal punto di vista della giustizia, va detto, è stato un mercimonio”.
Massimo Fini: “Ingiustizia è fatta. E’ uno schiaffo in faccia non solo alla giustizia italiana ma a tutti quei cittadini che ancora si ostinano (non so per quanto) a rispettare le leggi. In uno Stato che voglia dirsi civile le pene non devono essere né necessariamente severe né tantomeno, ‘esemplari’. Devono essere certe”.
Gerardo D’Ambrosio: “E’ una follia, usciranno decine di migliaia. Ci sono rischi per l’ordine pubblico. Voto no! Oggi non farei più il senatore (eletto Ds). Per anni i magistrati lavoreranno a processi che finiranno nel nulla”. La suora di San Vittore: “Un atto che serve più ai politici che ai poveri”. Virginio Rognoni: “Criticare questa legge non è giustizialismo. Sbagliato includere i reati finanziari. Sono rimasto colpito dai giudizi sul livello persistente di corruzione che c’è nel Paese e di cui il ceto politico non è immune”. E poi ancora: Eugenio Scalfari, Marco Travaglio, Giorgio Bocca…
Leggiamo alcuni titoli delle tante lettere di protesta che hanno invaso le redazioni dei giornali: “Deluso dell’Unione. E’ peggio della Cdl” – “Questa ‘clemenza’ è una legge scellerata” – “Ladri scarcerati, Prodi che vergogna!” – “Fuori i corrotti, beffa per gli onesti” – “Dell’indulto e dell’ipocrisia” – “Io, segretario di sezione Ds vi dico: no agli inciuci” – “La Cgil: raccolta di firme per escludere i reati contro il lavoro”… e via incazzandosi.
Fa tristezza la pochezza delle argomentazioni (in sintonia) degli esponenti dell’Unione, di Fi e Udc. I “nostri” hanno imparato subito: sembravano tanti Schifani, Vito e Fede. Non è solo questione di stanchezza la mancanza di mobilitazioni (come accadeva con Berlusconi) in difesa della giustizia e del valore della Pace. Incombe la paura/omertà di criticare il governo amico. Allora c’è il rischio di sostituire un “regime” con un altro, magari meno volgare. La miglior difesa della democrazia (e della sinistra) è la critica. Dunque, non chiudiamola, come al solito, a tarallucci e vino.
di Enzo Cecchini