Viveva in strada, e alternava il dormitorio della Caritas con le panchine.
La vita di Mastai ha trovato il suo epilogo in un luogo che, facendo qualche forzatura, è denso di simbolismi. In una posizione equidistante tra il campanile (potere religioso) e la torre civica del Municipio (potere istituzionale laico). Nel mezzo di un giardino/piazza, vetrina di una bellezza tutta artificiale elevata a vanto della città. Baricentrico tra tre banche (potere finanziario) e una mecca del piacere della gola (la pasticceria – si approssimava l’ora dell’aperitivo). Ci giriamo intorno e vediamo anche che ai lati c’è il supermercato, il ristorante, la bancarella ricca di frutta, il negozio di vestiti alla moda… e, non poteva mancare, la gioielleria. Sopra la testa i filari delle luminarie natalizie.
Ecco, Giuseppe Mastai, il barbone, è venuto a morire lì; ha avuto la “sfrontatezza” di accasciarsi su quel pavimento in cotto. Tutto il bel mondo della ricchezza, degli agi, del consumismo erano lì… ma ai lati. La Chiesa e il Comune erano lì… ma equidistanti. Giuseppe Mastai aveva scelto di rifiutare questo mondo. Una scelta legittima e da rispettare, forse motivata da quelle delusioni che a volte, senza aiuto, solidarietà umana e sostegno di uno Stato latitante, ti impediscono di ritrovare le motivazioni giuste per ricominciare.
Allora ci si chiede: perché Giuseppe Mastai è venuto a morire proprio lì in quel “centro”? Come un destino irriverente, è il portatore di una morale? Giuseppe Mastai, il barbone, è forse venuto a morire lì, provocatoriamente, per rovinarci l’imminente atmosfera delle festività natalizie? E mettere a nudo la dilagante ipocrisia del buonismo infiocchettato e consumistico?
A Natale i barboni servono vivi, così si può allestire la messa in scena del lauto pasto di solidarietà, offerto per l’occasione. Magari con visita delle autorità civili e religiose e le rituali foto da pubblicare poi sui giornali. Sorriso, clic!… e via alla prossima sceneggiata.
Ma queste, forse, sono solo cervellotiche elucubrazioni. Tanto morto un Mastai, tanti altri affollano la schiera dei bisognosi.
di Enzo Cecchini