– La sensibilità ambientale che diventa un “affare” imprenditoriale che va a gonfie vele. Che sbarca in Argentina, l’anno scorso. E che in maggio una delegazione va in Brasile e Perù. Che mette sul piatto dei dipendenti 100.000 euro da destinare ad un progetto eco-compatibile e umanitario. Che nel 2005 ha fatturato 65 milioni di euro; erano 42 nel 2004 e 32 nel 2003. Che impiega 270 addetti, 160 dei quali provvisti di laurea (geologi e ingegneri). E che venne fondata nel dopoguerra da un prigioniero di guerra tedesco.
Tutto questo è Petroltecnica, leader in Italia per la bonifica ambientale, specializzata nella “ripulitura” di terreni e acque inquinati da idrocarburi e vernici. Sede a Cerasolo, dietro c’è Peo Pivi, un ingegnere elettronico di 63 anni che da giovane voleva cambiare il mondo e che pensa che si possa fare ancora oggi ed un fratello, Danilo, che sa concretizzare. Con ordine.
La Petroltecnica la fonda nel dopoguerra Helmut Hiller, un prigioniero di guerra di Lipsia internato a Cesenatico che fa il meccanico. Sposa una signora di Solarolo e trova impiego come costruttore e manutentore di stazioni di carburanti. I Pivi lo conoscono perché gestiscono una pompa di benzina ad Ospedaletto. Non ha figli, il tedesco, e prima di andare in pensione propone ai Pivi se vogliono comperare. Si fa l’affare. Acquistano Peo e il fratello Danilo. Allora. nell’85, l’azienda conta 12 dipendenti e fattura 700 milioni.
Ricorda l’ingegner Peo: “Sono gli anni in cui si inizia a parlare di ambiente. Per ragioni culturali, ideologiche, sensibilità, ero vicino ai movimenti ambientalisti. Poi, lavori, guadagni e fai una cosa alla quale credi. Nell’82 c’è la prima legge sui rifiuti. Noi lavoriamo con le compagnie petrolifere, perché non pensare di ritirare, convogliare, i rifiuti delle stazioni, come lattine di olio, i pozzetti ricettacoli di benzina ed acqua, gli stracci, i fondi dei serbatoi?”.
“Mano a mano che aumentava la sensibilità ambientale – continua Pivi – aumentavano anche i servizi che si dovevano occupare di ambiente. Ci attrezziamo per bonifiche sul posto”.
Nel ’97, l’Italia, grazie al Decreto Ronchi sulla tutela della natura, fa un altro passo in avanti. Oggi, Petroltecnica ha 400 luoghi da bonificare. Inoltre, il lavoro oltre ad essere effettuato sul posto, avviene anche a Cerasolo attraverso una mega lavatrice che lava la terra. In ogni metro cubo di terreno, si estrae un litro di benzina. Ogni anno, la Petroltecnica “attinge” dalle terre e acque benzina autosufficiente per una cittadina di circa 10.000 abitanti (4 milioni di litri, che vende). Mentre la terra decontaminata (4-6 bilici ogni giorno) è trasformata in sabbia e ghiaia per l’edilizia e fanghi che vanno in fornace per diventare mattoni o cemento.
Sul posto il trattamento avviene in modo naturale. Si fa arrivare nella terra molto ossigeno, che stimola la flora batterica, la quale si nutre di idrocarburi e muore, la flora batterica, quando si è pappata tutto.
La Petroltecnica da pochi anni nell’ultimo anno fronteggia un agguerrito comitato cittadino contro il suo lavoro. Pivi: “Il recupero è bello, delicato, ma richiede forte attenzione. Noi, e lo voglio sottolineare non abbiamo mai avuto problemi di tipo legale. Qui, a Cerasolo, tutte le procedure vengono fatte con il massimo rispetto dell’ambiente, ma chi non vuole capire non capisce. Nell’ultima assemblea pubblica che abbiamo avuto con i cittadini non ci sono stati problemi”.
Leader in Italia, i competitori di Petroltecnica sono le multinazionali americane. Prospettive? Pivi: “Tante. Cerchiamo di internazionalizzarci e di battere strade legate alla produzione di energia”.
Colto, fare essenziale, elegante, Pivi da giovane è stato un affezionato di Lotta continua; da grande è stato presidente del Quartiere 2 (quello dell’ospedale), ama la musica, il cinema, il teatro e viaggiare. Si prende tre mesi l’anno e lo fa in camper e in modo molto personale. Da Rimini, attraversando tutta l’Africa, è giunto a Città del Capo. Ora, l’amato camper è in Sud America, posteggiato a Quito (Ecuador): aspetta altre avventure. Con alle spalle una cultura critica verso un certo modo di fare impresa, dice: “Fare il padrone non è faticoso; farlo in modo democratico è molto complicato. Diciamo che il requisito minimo è che tutti rispettino diritti e doveri. La valenza è l’oggettività delle cose. L’imprenditore deve essere etico, altrimenti è capitalismo selvaggio”.