– Da sempre i cristiani sono abituati all’idea ripetuta all’infinito che Gesù è la salvezza del mondo, e dell’uomo in particolare. Non c’è forse termine più abusato, più incompreso, più svuotato di significato di questo. La salvezza portata da Gesù nella maggioranza dei credenti rinvia meccanicamente all’al di là, al dopo morte; salvezza dell’anima, dall’inferno, dalla dannazione eterna.. Se questo è il significato ne consegue che acquistino un valore ipertrofico tutti quei rituali appartenenti alla sfera del sacro che possono allontanare dai fedeli tali pericoli. Di qui il ricorso ai sacramenti, spesso visti come talismani capaci di salvare magicamente; di qui la visione del prete come uomo del sacro, distributore di battesimi, di comunioni, assolutore di peccati, esorcista; di qui la concezione del laico utente passivo di servizi clericali; di qui la concezione di una vita terrena poco significativa per la sua transitorietà, per quanto si sia pervicacemente attaccati ad essa, e un al di là luogo di eterna beatitudine, quantunque si desideri procrastinare il più a lungo possibile l’ingresso in esso.
Una visione delle cose che induce a disinteressarsi della Storia, a rifugiarsi nel proprio particolare, a pensare individualmente e non in termini di popolo, di bene comune; una visione delle cose che è purtroppo più generalizzata di quanto si pensi. Ma che ha ben poco a che fare con il messaggio evangelico e con quello biblico, che chiamano potentemente l’uomo a prendersi la responsabilità del mondo creato, ad agire attivamente nella storia ricercando incessantemente relazioni giuste, solidali, fraterne. Il “regno di dio” è il regno della pienezza della vita che è già cominciata sin da ora per tutti coloro che operano, credenti o no, disinteressatamente per il bene comune. Che si sia credenti o no, queste esigenze bibliche attraversano la Storia e interpellano ogni uomo nel tempo e nel luogo in cui si trova a vivere.
Il tempo di oggi è quello della cosiddetta “globalizzazione”; il mondo è diventato un unico recinto dove ci si scambia merci, informazioni, cultura, tecnologia, benessere. Un unico recinto che demolisce frontiere, dazi, dogane; nel quale gli uomini si incontrano e si riconoscono uguali al di là delle loro provenienze?O no? O sotto questo termine all’apparenza così seducente si nasconde anche dell’altro? A prima vista la globalizzazione sembrerebbe sostituire positivamente il secolo delle ideologie che nel recente passato hanno devastato il mondo; fascismo, nazismo, comunismo, colonialismo? Il guaio di queste ideologie stava nel fatto che mentre inserivano l’individuo in un progetto e in una visione collettiva, immediatamente lo opponevano ad altre ideologie che con quella confliggevano, sino allo scontro armato. Con la caduta delle ideologie e la fine dell’ubriacatura l’uomo si è ritrovato di nuovo solo, fuori da ogni progetto collettivo, da ogni appartenenza di gruppo, frammento alla deriva. L’ideologia era il collante, il progetto comune, indipendentemente dai suoi esiti. La sua fine ha rigettato l’uomo nel suo “particolare”, orizzonte di se stesso, privo di valori condivisi; “così è se vi pare”, chiosando Pirandello. Proprio il tipo d’uomo adatto a diventare preda dell’unica ideologia rimasta, il mercato. Le idee e i progetti hanno lasciato il posto alle cose, agli oggetti. E’ nato il consumatore. Un soggetto altamente manipolabile da chi gestisce le leve del potere come ben sapevano gli antichi romani: panem et circenses al popolo purchè si disinteressi della cosa pubblica e non vada tanto a spulciare donde venga il suo benessere, a spese di chi, “di che lacrime grondi e di che sangue”. Un soggetto facilmente manipolabile anche perché connivente col sistema di cui gode i benefici.
Il mercato è dunque il nuovo idolo, al quale si può e si deve sacrificare l’anima, idolo che non ha oppositori. Se solo a pochi anni fa assistevamo alla dialettica frontale fra dittature e democrazia, fra comunismo e liberalismo, oggi il campo appare sgombro: USA e Russia perseguono obiettivi analoghi, la Cina si sta omogeneizzando a tambur battente. Sembra uscire dal coro il mondo islamico, ma anche se appare in grado di recare gravi disturbi al meccanismo, non ha la forza di arrestarlo. Quali guasti il mercato, lasciato a sé, senza la doverosa subordinazione al bene comune e quindi alla politica, sia in grado di produrre è sotto gli occhi di ognuno che voglia vedere. Le migrazioni bibliche cui assistiamo di intere popolazioni affamate verso le nazioni più ricche, con smembramento delle famiglie, perdita dell’identità, omogeneizzazione culturale, rigurgiti di razzismo e di diffidenza da parte dei paesi presi d’assalto, sono un segno abbastanza eloquente del dissesto creato da una liberalizzazione del mercato selvaggia e priva di regole. Per non parlare dei guasti di natura ecologica, molti dei quali irreversibili, che subisce l’ambiente.
Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo figlio Gesù perché il mondo si salvi, recita il quarto vangelo. E’ questo mondo che dio ama, questo pianeta, questo uomo di oggi, il migrante costretto a lasciare la sua terra, il soldato mandato a combattere una guerra non sua, il bimbo o la bimba venduti per un commercio di organi o di sesso, il lavavetri che ti importuna ad ogni semaforo, il venditore di cianfrusaglie che bussa alla tua porta, i milioni di morti per fame in un mondo in cui il cibo si spreca?.tutte vittime di un sistema che arricchisce pochi a scapito di moltitudini cacciate ai margini.
La predicazione cristiana si è spesso spesa con scarsi risultati sul versante pietistico e caritatevole lasciato al buon cuore del fedele. Preoccupata della salvezza delle anime si è rifugiata spesso in ambiti innocui che non denunciavano le cause e le radici dei problemi. In pratica si è defilata dal cuore della Storia e come tale è diventata irrilevante, un optional. Tuttora l’omiletica corrente appare impegnata a inculcare le verità dogmatiche della fede, per altro indiscutibili e inverificabili, o a dare consigli moralistici di comportamento spicciolo, dimostrandosi impreparata e non attrezzata ad affrontare le grandi sfide che l’epoca, ogni epoca, presenta. C’è da meravigliarsi se le liturgie domenicali sono sempre più deserte e tristi?
don Piergiorgio Terenzi e Iglis Selvagno