La Riflessione di di Angelo Chiaretti Presidente del Centro Dantesco S. Gregorio in Conca
– “La storia è una catena di anelli ininterrotta, ma in ogni caso qualche anello non tiene!”: queste celebri parole del poeta Eugenio Montale sembrano la premessa fondamentale per chiarire il motivo per cui da troppi secoli, ormai, si consuma nelle vallate e sui crinali dell’Appennino Marchigiano-Romagnolo un’ingiustizia che va urgentemente sanata: un popolo paga il caro prezzo della perdita della propria identità (economica, politica e culturale).
L’anatema ripetutamente e costantemente scagliato contro i peccati dei Romagnoli dalla Chiesa di Roma ha nel corso dei secoli scatenato un’ondata di risentimento che ha fatto toccare con mano con mano come la Romagna e il Montefeltro (che da sempre le appartiene) sono da sempre terre “dannate” da sempre e che, dunque, aborti e divorzi, lussuria e febbre del sabato sera, consumismo sfrenato e relativismo non sono che momenti contingenti e variabili di una vecchia questione che é rimasta costante nel tempo.
Ma vediamo di andare con ordine.
Dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente e le conseguenti invasioni “barbariche” solo una parte dell’Italia restò “romana”, cioè quelle terre che dall’Adige meridionale al Tevere facevano parte dell’Esarcato, rispondevano al governo di Bizantini (che avevano una loro capitale a Ravenna) e che per questo vennero chiamate “Romania” (poi Romagna).
Dunque, in quegli anni fra V e IX secolo, due chiese si affrontarono; quella di Ravenna e quella di Roma e solo l’intervento militare dei Franchi di Carlo Magno consentì a quest’ultima di usurpare il ruolo di quella, generando divisioni e rancori mai più sopiti. Così la Romagna divenne, già da allora e per i secoli successivi, terra di missione e di… mangiapreti.
Eccone alcune testimonianze: quando frate Francesco d’Assisi (inizialmente in odore di eresia per via della sua idea di una Chiesa mendicante) decise di diffondere il verbo di Cristo oltre i confini dell’Umbria, quale terra scelse per la propria predicazione? La Romagna!
Le eresie catara e patara, che propugnavano una rigorosa riforma morale e disciplinare del clero, avevano in Rimini una delle loro capitali ed il successo del fraticello fu tale che la nobile Comunità di San Leo (in Romagna) adottò nello stemma cittadino l’esile figura di S. Francesco che ancora vi permane.
Ed ancora: quando il padre agostiniano Antonio da Padova abbandonò i panni del teologo per farsi francescano e seguire “Madonna Povertà”, quale terra scelse? La Romagna! E divenne santo. A Rimini tutti conoscono il racconto del miracolo che egli fece parlando ai pesci del porto, i “paganelli”, appunto.
Passando al XIV secolo, chi fu il capitano dei ghibellini italiani
ostili al potere temporale dei papi? Uguccione della Faggiola, signore di Montecerignone, in Valconca!
E dove dovrebbe nascere, secondo Dante Alighieri, il celebre “Veltro” salvatore dell’umanità e castigatore della corruzione della Chiesa Cattolica? “Tra feltro e feltro”, dice il poeta “florentinus natione non moribus”, cioé tra Feltre e il Montefeltro, esattamente nella Romagna bizantina!
E che dire di papa Alessandro VI che, nel XVI secolo creò dal nulla il Ducato di Romagna, affidandolo al proprio figlio Cesare Borgia detto Il Valentino, per stroncare nelle lacrime e nel sangue le libertà civili di queste terre?
Ricordate la vicenda di Padre Cristoforo, di manzoniana memoria, che nei “Promessi Sposi”é punito per aver messo il naso negli affari di Don Rodrigo? Dove venne spedito dal cardinal Borromeo affinché scontasse la sua missione? In Romagna!
Ma non basta. La Romagna ottocentesca accolse a braccia aperte l’eroe Giuseppe Garibaldi, che “sollevava schiere di giovani a votarsi alla morte per distruggere la tirannide sacerdotale”, ma essa fu anche terra di briganti con “Il Passator cortese” (Stefano Pelloni) e patria di anarchici e rivoluzionari, come Andrea Costa, Errico Malatesta o Amilcare Cipriani. E il discorso potrebbe continuare a lungo.
Ecco perché, dunque, ora ci piace dire che con il referendum, quel che si doveva fare sette secoli or sono, viene tentato oggi dalle Comunità di Novafeltria, San Leo, Talamello, S.Agata Feltria, Pennabilli, ecc. Possano gli abitanti del Montefeltro e della Valmarecchia ritrovare quell’unità, necessaria premessa per riappropriarsi di un’identità fra le più interessanti nella storia italiana. Il nostro augurio, con il Gran Padre Dante Alighieri, è che “vero frutto verrà dopo ‘l fiore” (Paradiso XXVII).