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Se la chiesa avesse il coraggio di scomunicare chi fa la guerra

Redazione di Redazione
8 Maggio 2006
in L'opinione
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Come mai 40 anni dopo la Chiesa è ancora cosi titubante, incerta, e non ha la forza per gridare, come Paolo VI all’Onu: “Mai più guerra”?
“La ragione fondamentale è questa: la Chiesa potrà dire questo solo quando finalmente farà il passo finale, rinunciare all’essere religione civile. Purtroppo la Chiesa per tanti secoli è diventata religione civile, ha benedetto imperi ecc. Non è questo il suo compito, ma quello di essere coscienza critica per la società. Nasce da questo contesto la richiesta che più volte ho avanzato, cioè se la Chiesa vuole uscire da questa eredità di religione civile, una delle cose importanti da fare è che il Vaticano rinunci ad essere Stato. Non è concepibile che il Papa sia anche Capo di Stato, questo mette in moto tutta una serie di trappole, la diplomazia ecc. Per cui è chiaro che bisogna barcamenarsi poi da tutte le parti. Il magistero della Chiesa deve avere il coraggio di proclamare come dogma di fede il fatto che è stato Gesù di Nazareth ad inventare la non violenza attiva. Non è stato Gandhi. Gandhi lo ha imparato dal Vangelo e se la Chiesa ha il coraggio di proclamare questo apertamente, produrrà nel cuore della gente una rivoluzione enorme, un salto di qualità incredibile, e soprattutto in questo momento gravissimo aiuterebbe l’umanità ad uscire da questa follia bellicista in cui si trova”.
L’obiezione al “No alla guerra” è questa: come si dirimono i conflitti internazionali e come si combatte il terrorismo se si rinuncia alla forza armata?
“Ormai è sempre più chiaro che il terrorista più lo combatti con la guerra, più diventa terrorista, la violenza produce violenza, fango produce fango. Dobbiamo ritornare a credere al Vangelo della non violenza. Il male si vince con il bene, con la logica della non violenza. Qualcuno dirà che questo può valere a livello personale mentre non si può obbligare a questo un paese, tutta la società. Ma noi siamo convinti che a questo punto della storia, l’umanità deve fare un salto di qualità. Dalle ultime statistiche abbiamo letto che abbiamo abbastanza bombe atomiche da far saltare 4 volte il mondo per aria. Stati Uniti e Russia hanno dimezzato del 50 % armi nucleari, chimiche e batteriologiche, ma abbiamo ancora abbastanza armi, da uccidere la popolazione mondiale 5 mila volte. Abbiamo oltre 340 tonnellate di plutonio. Ne bastano 15Okg per uccidere tutti. E’ la follia totale in cui ci siamo cacciati. Pertanto o l’umanità riesce ad uscire fuori dalla follia totale della guerra oppure ne saremo tutti travolti”.
Che cosa deve fare il cristiano per essere costruttore di pace?
“Credo che la strada sia stata indicata da Giovanni Paolo II, il 30 novembre 2003, quando all’Angelus, ha detto: “Rinnovo il mio appello ai responsabili delle grandi religioni: uniamo le forze nel predicare la nonviolenza, il perdono e la riconciliazione!’ Beati i miti, perché erediteranno la terra’ (Matteo 5,5)”. In queste parole è indicata la strada per i credenti nel senso che per le religioni e per le Chiese non è più tempo di silenzi e connivenze di fronte ai conflitti bellici e all’instaurarsi del “pensiero unico” della guerra, intesa ormai come unico mezzo per risolvere le controversie e per far girare l’economia. Inoltre il papa indica un intreccio tra nonviolenza, perdono e riconciliazione. Si tratta di tre tappe dello stesso percorso, per il quale non si dà l’una senza le altre. Ai cristiani spetta il compito di diventare “maestri” della pedagogia della nonviolenza e i portatori sani di quella che Bernard Háring definiva la “forza terapeutica” della nonviolenza”.
Il papa fa un richiamo preciso alla beatitudine della mitezza. Perché?
“Non credo che il Papa l’abbia utilizzata come un abbellimento letterario. Sono convinto, che la nonviolenza ha la sua, radice proprio nella Parola di Dio e nello stesso Cristo, modello di nonviolenza. Essa non è una delle tante teorie prodotte nella storia dell’umanità o da qualche personalità eccezionale, come Gandhi o Martiri Luther King. Al contrario, la nonviolenza evangelica è la sintesi di quel comandamento nuovo, cioé di quell’ordine nuovo, di amarci come Dio ci ama e, addirittura, di amare i propri nemici”.
Cos’era, in definitiva, per Gesù la non violenza?
“Per Gesù la nonviolenza rappresentava il superamento della logica del vecchio Testamento dell’ ‘occhio per occhio, dente per dente. “Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli l’altra” (Mt 5,39), diceva Gesù. Per colpire uno sulla guancia destra bisogna usare il manrovescio e al tempo di Gesù veniva usato dal padrone per umiliare lo schiavo. Gesù dice: “Mettiti in piedi fratello, tu sei un uomo, non uno schiavo! E porgigli la guancia sinistra”. Se chiude la mano o usa il pugno della mano, il padrone è costretto a trattare lo schiavo come suo pari. In un mondo di onore e umiliazioni, si è impedito a un pre-potente di svergognare un “inferiore” in pubblico. Gli è stato sottratto il potere di disumanizzare l’altro. Come insegnava Gandhi, “il primo principio dell’azione nonviolenta è la non cooperazione con tutto ciò che si prefigge di umiliare”.
Il compito della Chiesa?
La nonviolenza attiva deve diventare una dimensione essenziale della sequela cristiana. Le Chiese devono avere il coraggio di proclamare che è Gesù che l’ha praticata nella sua vita. Se la Chiesa scomunica chi abortisce o dice che non può fare la comunione una donna che usa i contraccettivi, non dovrebbe scomunicare chi va a bombardare in una guerra come quella contro l’Iraq ritenuta “immorale” dal cardinale Martino e “criminale” dal cardinale Tauran?

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