– Di recente ho ricevuto una lettera molto bella che mi ha richiamato alla riflessione e all’impegno; a scriverla è P. Saverio Paolillo, caro amico, missionario comboniano in Brasile e mi sembra importante condividerne il contenuto.
Le sue considerazioni partono dalla triste constatazione che le sciagure umane, le guerre, la fame, l’odio e la violenza non vanno mai in vacanza e che purtroppo si è molto più inclini a parlare delle tragedie del passato che di quelle gravi e numerose di cui il presente più che mai continua a mostrarci le ferite.
Durante la visita al campo di concentramento di Auschwitz, Papa Benedetto XVI ha riproposto le domande angosciose sul silenzio di Dio di fronte all’esperienza tragica del dolore provocato dalla cattiveria umana: “Perché, o Dio, hai taciuto?”. Come può tollerare Dio questo trionfo del male, questo eccesso di distruzione? Il grido straziante del salmo 44 si eleva dai tanti patiboli innalzati dalla cattiveria umana anche ai nostri giorni: “Svegliati, perché dormi Signore? Destati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?..?”
Ci turba l’idea di un Dio che se ne sta lontano, impassibile, quasi a godersi lo spettacolo, perché lo sentiamo in forte contraddizione con il Dio, Padre buono, dal cuore pieno di tenerezza materna, che ci ha creato e ci ama. Ma non è così semplice. Buttare sulle spalle di Dio il peso delle responsabilità è una scelta comoda perché non è vero che Dio tace: non c’è silenzio al mondo più loquace di quello di Dio. Nel silenzio della croce Dio ha parlato proferendo il messaggio più intenso che il mondo potesse ricevere: il Vangelo dell’amore. Solo Dio può dare la vita, gli uomini fanno di tutto per salvare la propria pelle. Questa è la differenza annunciata nel silenzio della Croce: all’odio, alla rabbia umana, ai gesti di inaudita violenza, Dio risponde con il silenzio del perdono e sconfigge la violenza con la non violenza.
Quello che invece scandalizza e sconvolge è il silenzio dei presenti, il silenzio degli uomini, il silenzio della paura di perdersi per gli altri, il silenzio dell’omertà, il silenzio che diventa consenso. Dio non cessa mai di parlare. La sua parola risuona nelle nostre chiese proclamata dai nostri pulpiti, ma dove sono i cristiani? Dove siamo noi? Perché tacciamo? Perché parliamo solo dopo che la tragedia è consumata? Auschwitz non è un capitolo del passato, definitivamente concluso. Continua ancora oggi per gli stessi motivi: sete di potere, ambizione, odio. Intere moltitudini vivono ammassate nei campi di concentramento di oggi: nelle periferie abbandonate, nelle prigioni disumane, nelle “carrette del mare”, in ospedali pubblici dove al dolore fisico si aggiunge la sofferenza dell’abbandono.
Nel comune di Serra, dove padre Saverio vive, è stato da poco inaugurato un carcere metallico: containers trasformati in celle con venti detenuti per ogni container; una struttura che resuscita il fantasma dei campi di concentramento, frutto di una mentalità segregatrice che tratta il detenuto, specie se povero e nero, come immondizia da punire con la privazione della sua dignità.
Dov’è l’umanità di fronte alle cattiverie di oggi? Silenzio. Nessuna notizia, nessuna informazione, nessuna indignazione. Che ne abbiamo fatto del Vangelo? L’ho abbiamo segregato nella sfera del privato e stiamo perdendo la dimensione comunitaria della fede. L’individualismo religioso ha generato indifferenza e disinteresse per l’altro e la dimensione sociale incontrata nel Vangelo è spesso ignorata.
E’ necessario rompere il silenzio facendo nostro il silenzio di Dio che parla di amore, di solidarietà, di tenerezza e di servizio. E’ urgente allora evangelizzare. Non si tratta di trasmettere una dottrina o di aderire a delle norme, ma di mettere l’uomo in contatto con Dio, con il Dio di Gesù Cristo, assumendo le stesse scelte che Lui ha fatto e cercando un nuovo stile di vita costruito sui valori del Vangelo.
“Bisogna che impariamo a vivere insieme come fratelli o moriremo insieme come pazzi” diceva Martin Luther King.
di Sonia Tramontana