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Tasse, per gli italiani non è peccato

Redazione di Redazione
17 Novembre 2006
in L'opinione
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Duecento miliardi di euro vogliono dire circa cinque leggi finanziarie, dell’entità di quelle che l’Unione europea giustamente pretende da uno Stato, come il nostro, in sofferenza per alto livello del disavanzo e altissimo livello del debito pubblico, tale da scoraggiare gli investimenti stranieri.
Se si vuole inquadrare storicamente, come mi è stato chiesto, il ?non amichevole rapporto tra gli italiani e le tasse, si deve, privilegiando una delle più suggestive tra le tante spiegazioni possibili, risalire a tempi molto lontani: almeno al passaggio dall’alto medioevo all’età del capitalismo moderno. E’ il passaggio da un’epoca feudale, in cui i filosofi scolastici condannavano ancora l’interesse ricavato dal prestito del denaro, ad un’altra, in cui la stessa Chiesa finì per tollerare tacitamente i numerosi artifici mediante i quali si praticava più che mai l’usura (non si può non chiamare in causa la Chiesa in questa materia, perché essa è formatrice ed educatrice delle coscienze, anche se oggi essa è sempre meno ascoltata).
Come è noto, Gesù era stato il rappresentante di una rivoluzione morale contro il denaro e i suoi maggiori possessori: si pensi ai ricchi che non entrano in paradiso (più facile per i cammelli passare per le crune degli aghi); a Gesù che dice ai suoi Non mettete né oro né argento nelle vostre tasche; alla condanna di Mammona, sterco del diavolo. Ancora oggi molti cattolici coltivano questi sentimenti, e non fanno del denaro lo scopo della loro vita; anzi li mettono in pratica, attraverso il volontariato (si pensi per esempio alla Caritas; ma spesso i cattolici italiani che vogliono restare fedeli all’insegnamento pauperistico di Gesù vengono tacciati di cattocomunismo).
La Chiesa feudale rispettò la rivoluzione cristiana condannando senza riserve l’usura, ma in Italia le cose cambiarono quando i papi, dopo avere inventata una inesistente donazione di Costantino, costruirono un proprio Stato e proprie finanze e fecero guerre e divennero veri e propri capi di Stato. Non fu più possibile alla Chiesa, a questo punto, seguire l’insegnamento rivoluzionario di Gesù. L’ Istituzione-Chiesa, quindi, non si interessò più del problema “denaro”, che restò estraneo alla devozione religiosa da essa predicata, se non nei termini di una generica sollecitudine per i poveri. Il denaro divenne materia moralmente indifferente. Ancora oggi, per esempio, nella confessione il fedele non si sente mai chiedere se ha evaso il fisco o se ha pagato i contributi per i propri dipendenti. Non è peccato, insomma, derubare la comunità della quale si fa parte, anche se Gesù aveva detto: “A Cesare quel che è di Cesare”.
Furono invece la Riforma di Calvino e le chiese riformate a riprendere vigorosamente in mano il problema “denaro”, ma in modo storicamente nuovo ed inedito, cioè positivo. I calvinisti introdussero nel loro codice morale il lavoro e il guadagno, che al cattolicesimo non interessavano. Il mondo calvinista, Inghilterra, Olanda, Francia ugonotta, Stati Uniti d’America, fu educato a ritenere il guadagno e il suo impiego, il lavoro e il capitale valori rilevanti sotto il profilo religioso; e addirittura il successo imprenditoriale come segno della grazia divina.
Si spiega anche così il fatto che negli Stati Uniti non esista l’evasione fiscale, perché quel sistema, attraverso le deduzioni delle spese, prevede che, per esempio, il tecnico che ha riparato l’impianto idraulico rilasci regolare ricevuta al cliente. Siamo agli antipodi del costume italiano, per il quale la norma è che il pagamento all’idraulico avvenga in nero (si formano così i 93 miliardi…). Lo stesso discorso vale per tanti medici anche di alto livello, per i geometri, per gli architetti, per gli elettricisti, per i meccanici, per i dentisti, per certi avvocati ecc. ecc. Non si dimentichi che negli Usa fu grazie alla scoperta dell’evasione fiscale che venne assicurato alla giustizia il gangster Al Capone.
Ma che dico: “evasione fiscale”? Mentre dopo la scandalo Enron il Congresso Usa ha portato a 24 anni di reclusione il reato di falso in bilancio, in Italia, paese eminentemente cattolico, i berlusconiani non hanno forse praticamente depenalizzato quello stesso reato? In questo campo la Chiesa cattolica, tanto attenta quando si tratta di unioni civili etero- ed omosessuali, non dice nulla, che io sappia.
Inoltre i più ricchi magnati Usa, tra cui il padre di Bill Gates, hanno condannato il progetto del presidente Bush inteso ad abolire l’imposta di successione, mentre qualcuno (indovinate chi) strepita a più non posso contro il governo Prodi che intende risottoporre le grandi fortune alla medesima imposta.
A questo si aggiunga, per quanto riguarda l’Italia, il qualunquismo antipolitico introdotto nel costume da vent’anni di regime fascista (si legga al riguardo La politica fiscale del fascismo di Gianni Marongiu), con la conseguenza di devastanti effetti sul senso civico degli italiani. La politica è quella categoria sociale che può combattere l’evasione fiscale e l’egoismo individuale? Ebbene: abbasso la politica, cosa sporca, e chi la fa per professione. Non si sa mai che i politici di professione ci facciano pagare qualche tassa in più?
Ci si ricordi, infine, delle intuizioni di Machiavelli, che già ai primi del Cinquecento osservava quanto poco il costume italiano fosse permeato di valori autenticamente cristiani, e se la prendeva, magari esagerando un po’, con la Chiesa cattolica, che – scrisse – “ha fatto diventare noi italiani sanza religione e cattivi”. Guardandosi attorno, poi, il grande segretario fiorentino, sconsolato, esclamava: “Gli uomini dimenticano più facilmente la morte del padre che la perdita del patrimonio”. Sono tanto diversi da questo modello gli evasori fiscali di oggi?

di Alessandro Roveri Professore di Storia contemporanea all’Università di Ferrara

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