– Gino Magi detto “Gino d’Sociali”, classe 1926. Un pescatore tra i più stimati della nostra marineria, racconta.
“Nel 1950 partii per l’Australia in cerca di lavoro, vi erano già stabiliti da tempo due miei zii, Paolo e Giuseppe, anche mio nonno Sante, come già detto, era a suo tempo emigrato in Australia. Rimasi a lavorare per quattro anni.
Nel 1954 tornai in Italia e in quell’estate feci il bagnino; alla mattina andavo a catturare le cozze e alla sera facevo due-tre battute ai rigatini.
Nell’ottobre di quello stesso anno lavorai su di una piattaforma per l’estrazione del metano al largo della Vallugola, per conto di una compagnia olandese, lavoro che svolsi per un’anno. In seguito proseguii la pesca costiera con le reti da posta con la mia “lancia” denominata “Ombrina”, a tale proposito mi sovviene un ricordo.
Pescavamo piccoli pesci (morsioni) insieme con le barche di Lino Bertuccioli “Barbarèl”, Dante Trebbi e Franco Ricci “dla Malègna”. Questo tipo di pesce si prendeva d’inverno e di notte. Quel giorno aveva soffiato la bora e la sera stava calmando, noi prevedevamo che si esaurisse del tutto “resa” e il cielo si facesse chiaro.
Notammo che tutti i pescherecci grandi andavano in mare e quindi uscimmo anche noi per la pesca; ci portammo ad un miglio dalla costa tra Misano Brasile e il fiume Conca. Si vedeva mezza luna e si sentiva vento di valle.
Verso le 23.30 vedemmo due pescherecci che tornavano a terra uno dietro l’altro, mantenendo sempre la stessa distanza, quindi dimostrava che il secondo era trainato dal primo. Poco dopo il peschereccio che rimorchiava l’altro è ritornato in mare, perciò non mi sono preoccupato anche se si cominciava ad avvertire qualche folata d’aria calda e dopo un po’ di incertezze abbiamo messo in mare le reti, (si pescava tre casse di pesce ogni ora).
Franco Ricci non ha calato le reti, nel dubbio che facesse brutto tempo. Dopo un po’ tiriamo su la rete, togliamo il pesce e le ricaliamo una seconda volta. Avevo finito la cernita del pesce in ginocchio e stavo fumando una sigaretta, dirigo lo sguardo verso un punto dell’orizzonte e tra di me dico: -Um pèr cal facia nir i là – (mi sembra che il cielo si oscuri là).
Nel contempo che mi alzo in piedi, sento un’altra folata d’aria calda e così mi accorsi dell’arrivo della bora, vedo anche le luci dei pescherecci che stavano tornando a terra e la stessa cosa osservarono Lino e Dante, che anche loro stavano pescando verso Nord. A quei tempi le nostre piccole barche non possedevano “l’argano” e si salpava a mano.
Avuto sentore della burrasca imminente, tirai su rapidamente corde e rete a forza di braccia, Lino e Dante fecero altrettanto. Quando arrivò il vento stavo per mettere la rete a bordo; i primi colpi di vento sono sempre molto forti e gli schizzi del mare sopraggiungevano come proiettili. Eravamo a un miglio da Misano, io avevo a bordo già diciotto casse di pesce, di cui due di “morsioni”. Si trattava di quelle casse di legno abbastanza capienti, usate dalle lampare.
Sulla mia “lancia” avevo allora la barra del timone con un frenello, ci dirigemmo in direzione del porto, mentre il moto ondoso aumentava sempre più d’intensità e io guardo in sentina e vedo che il volano del motore era in mezzo all’acqua. Allora dico tra me: -E adess? –
Arrivai comunque all’altezza dell’hotel Regina, pregavo di non perdere il pescato di poppavia per le forti ondate, trattandosi di un quintale di pesce. Fui fortunato a non perdere nulla, nel caso che si fermasse il motore, il porto mi rimaneva ormai vicino, in direzione di “Ostro”.
I motopescherecci nel frattempo erano tutti rientrati.
Arrivato all’altezza del porto, misi la prora verso l’imboccatura, nella eventualità che fossi affondato mi trovavo alquanto vicino alla terra. Mi ero già tolto gli stivali e il giubbotto, Lino era poco distante da me ma la visibilità era scarsissima per la tempesta di mare e di vento e ci mancò poco che non andassimo a urtarci con le nostre barche, rischiando di naufragare.
A Dante Trebbi gli arrivò un colpo di mare e gli si rovesciarono a poppa tutte le casse, ma non perdette il pescato. Comunque riuscimmo ad entrare in porto e a ormeggiare all’altezza dell’attuale ristorante “Traghetto”.
Andammo di corsa a casa mia per un caffè, i marosi rompevano nei pressi dove ora è sistemata la Madonna e guardandoci in faccia abbiamo detto: -A la vin vuda bona! La s’è andé ben! –
Il nostro errore fu che dovevamo andare a terra a Portoverde, invece di rischiare per il porto di Cattolica, poiché l’evento poteva finire in tragedia”.
(fine)