– Alieto Giannini è morto lo scorso 28 marzo, in una giornata piovosa. Dopo una lunga e lenta malattia, diventata veloce negli ultimi mesi, giorni. Si era ritirato nei suoi pensieri e non voleva vedere nessuno. Aveva 83 anni. Lascia tre figli: Alfonso, Loredana e Flavia. Raggiunge la moglie, scomparsa due anni fa e della quale a qualcuno confidava la mancanza. Una folla immensa gli ha reso per la cerimonia funebre nella chiesa di Misano Mare il 31 marzo.
Carattere forte, passionale, genuino, inflessibile, dall’apparenza burbero, tuttavia capace di grande generosità, è stato uno dei protagonisti indiscussi della vita economica e politica di Misano e della provincia di Rimini. Origine riccionese, di modeste condizioni economiche e nobili principi, giunse a Misano da ragazzo, al servizio delle suore della colonia Fusco. Inizia a muovere i primi passi economici nei primi anni ’50, con i giornali. E i giornali caratterizzeranno il resto della sua vita. L’inizio fu un’edicola. Poi diventa distributore di giornali. Ed è un continuo crescendo: Misano, Riccione, Cattolica, Gabicce Mare, San Giovanni. Poi c’è lo sbarco a Pesaro, prima nei periodici e poi assume anche la responsabilità dei quotidiani. Negli anni ’90, un passo fondamentale, il raggio di azione si amplia: diventano il distributore di periodici e quotidiani per la provincia di Bologna. La sua agenzia arriva a fatturare 100 milioni euro, una delle prime cinque in Italia. Il figlio, Alfonso, da sempre con lui in azienda, al quale dà fiducia fin da giovane (meglio, se la conquista), gli dà una grande soddisfazione. L’episodio risale a un paio di anni fa e dà il senso della tempra Giannini. Per ragioni legate alla qualità della vita, decidono di vendere l’agenzia di Bologna. Vanno in trattativa con molti pretendenti. Tra cui la famiglia Boroli, De Agostini, per intendersi. Costoro sembrano intenzionati ad acquistare e durante la trattativa Boroli dice che per loro non ne fanno una questione di prezzo. La risposta: “Neppure noi”.
Sempre sobrio, sempre essenziale, mai apparenze, Alieto Giannini da alcuni decenni aveva il suo buon ritiro pomeridiano, in una vecchia cascina ristrutturata alla Cella, dove gli piaceva godersi indisturbato la F1, fare l’orto e governare gli aninali. Nella grande sala accoglieva i familiari, gli amici; ed è tappezzata con alcune delle sue passioni: i fucili, tanti oggetti ricordo. Fuori, nella campagna, il caro vigneto, un lungo filare di melograni, con asini e cavalli nel grande recinto in fondo. Amava offrire agli amici il preziosissimo succo di melagrana che faceva, bussando anche alle case dove vedeva una pianta; lo serbava in fresco per gli amici.
In questa spartana abitazione, ospitava amici importanti, potenti, che gli somigliavano, e si faceva anche fatica a pensare che un Giancarlo Turrini (direttore generale di Repubblica, suo caro amico) amasse essere invitato.
Per restare nel campo economico, Giannini è stato anche uno degli artefici della costruzione dell’autodromo Santamonica, gestendolo direttamente alcuni anni.
Primo della classe anche in politica; ha caratterizzato il Partito socialista misanese del dopoguerra fino a metà anni ’70 (spesso ospitava a Misano Pietro Nenni). Consigliere comunale, incarichi istituzionali, come sedere nella stanza dei bottoni della Usl.
Nel suo asciutto e garbato ufficio, dalle pareti pendono quadri che raccontano la sua vita; uno di questi è poetico: reca due signori su un calesse trainato da un asino: Alieto e Alfonso.
“Che la terra gli sia lieve”.
di Giovanni Cioria