L’architettura di allora, metà anni ’50, si esprime nella torre Velasca di Milano, ispirata ad un concetto di tradizione sospeso tra i fili interrotti del razionalismo ante guerra di stampo europeo, e un loro possibile superamento verso un ascolto meno nostalgico del passato. Rappresentazione di una volontà di traghettare l’eredità dei maestri della Bauhaus verso una nuova disponibilità ai valori dell’ambiente e della storia: una sorta di ipotesi di architettura vernacolare che ancora oggi trova nella peculiarità del luogo l’ispirazione.
In questo contesto di grande elaborazione teorica e mutua collaborazione tra architettura e urbanistica (Rogers dopo avere lasciato la direzione di Domus approdò a Casabella), possiamo collocare l’architettura del complesso di Castel Paradiso.
Nel 1967 l’editore Giovanni Mazzocchi, proprietario di Domus e di altre testate di prestigio e importanza storica (Europeo, Mondo, Quattroruote), incarica l’architetto Belgioioso di costruire un complesso di trenta residenze con piscina, un ristorante, che oggi è la sala collettiva per i residenti, in un’area molto particolare posta, a quel tempo, ai margini del territorio comunale.
Il progetto, nel suo complesso planimetrico, ripropone un vero e proprio villaggio racchiuso attorno a delle corti di verde ed allo spazio delle piscine con una zona belvedere.
Non visibile dalla strada nella sua interezza, così in simbiosi con il panorama, il complesso deve la sua peculiarità architettonica a piccole invenzioni formali che, a grande scala, diventano fondamentali per la sua architettura; ad uno sguardo complessivo colpisce l’alternanza dei volumi tra il degradare degli stessi e delle terrazze, con un improvviso innalzamento dei parapetti degli ultimi piani.
A proporre una linea spezzata che contraddistingue tutto il profilo delle sommità.
Il vano scala, elemento che si ripete ad ogni gruppo di palazzine, è pensato a simulare un “bastione” di qualche paese fortificato della nostra zona. E subito la mente corre al castello di Gradara che nella sua compatta bellezza tanto caratterizza il nostro territorio.
Lo stacco da terra è accompagnato da un bel basamento alto circa sessanta centimetri con andamento curvilineo, realizzato con impasto di ghiaia e cemento così da accompagnare i volumi verso la sommità.
Nemmeno gli angoli tra una facciata e quella posta in perpendicolare sono a spigolo vivo e la loro staticità è smussata da una piccola porzione di muratura a 45 gradi.
Quando pensiamo ad una architettura moderna la mente ha come riferimento ampie vetrate scorrevoli che a volte sostituiscono la muratura. Nel complesso di Belgioioso, viceversa, la modernità delle aperture è concettuale: esse infatti sono piccole, a volte minime ma poste sempre ad incorniciare un preciso panorama, a dipingere il mare oppure rivolti verso la collina. Come quadri pronti a catturare l’evoluzione delle stagioni ed il mutare dei colori.
In queste giornate di inizio estate il panorama che si ammira dalle terrazze e dal belvedere cattura l’occhio e la mente in un dolce contrasto tra il blu del mare ed il verde intenso della vegetazione, armoniosamente punteggiato dal giallo delle ginestre.
L’elemento più nascosto, ma parimenti importante, è l’innovazione costruttiva se pensiamo che la sua realizzazione risale a circa quarant’anni fa: i doppi solai con intercapedine di aria e i tamponamenti isolati da doppia muratura con vuoto all’interno, creano un ambiente ideale dal punto di vista termico.
Ogni dettaglio è stato pensato e soprattutto progettato con cura, con la consapevolezza che dovesse durare nel tempo. In questo stesso luogo, verso gli anni quaranta, Melchiorre Bega costruì una villa in stile moderno che purtroppo finì… in mare. Ma questa è una storia diversa, che però appartiene alla stessa famiglia e che potrebbe essere raccontata in futuro.
di Giovanna Mulazzani Architetto in Gabicce Mare