– Giuseppe Ricci, 34 anni, cattolichino, dopo “La teledittatura” e “Amarkord” ha appena pubblicato “Caos Amore Caos” con Fratelli Frilli Editori di Genova.
Dal caos dei valori trae origine il caos sociale, da questo il caos individuale. Nel caos le regole primordiali dell’amore non hanno scampo, sopperiscono alle frustrazioni e divengono drogate da regole alienanti. L’infelicità diffusa.
Se “Ciao Amore Ciao” di Luigi Tenco, fu intesa come la prima vera canzone italiana di rivolta, Ricci ha “giocato” con lo stesso concetto. Che cos’è “Caos Amore Caos”?
Un anonimo protagonista scrive in prima persona dal letto di un ospedale che lo ospita. Risvegliatosi da un coma riscopre man mano che scrive le emozioni, gli incontri, i gesti ed i fatti che lo hanno portato lì. Caos Amore Caos è ambientato a Rimini, sullo sfondo temporale dell’occupazione della Sorbona, della guerriglia delle banlieau ed a pochi giorni dalle elezioni politiche italiane.
Il protagonista del racconto è un laureando di 27 anni, schiavo part-time in un call center di telemarketing per la vendita di set per l’igiene della casa. In lui si sommano i disagi di una generazione cresciuta con valori ed ideali oramai inappaganti perché estinti.
Scemati gli impegni dello studente, in lui avviene una violenta presa di coscienza di tutte le false morali ed imposture ideologiche a cui si era sempre sentito sottomesso, questo originerà in lui la volontà di rompere con gli imperativi del suo tempo al fine di trovare una serenità fino ad allora sconosciuta.
La rottura con ciò che lo circonda lo porterà ad una rottura, anche disperata, con se stesso. Euforia e libertà saranno solamente il prologo di un suo ritrovarsi sempre più a disagio, fino a sfociare in una sorta di schizofrenia, ad un desiderio di vendetta.
Con brevi ma rilevanti “scoperte” sul mondo dei media, sulla politica, e sulla funzione dei valori, il racconto porta in “superficie” i malesseri e la confusione culturale di cui gli adultescenti (adulti-adolescenti) sono vittime consenzienti.
E’ da interpretare come una provocazione il fatto che il protagonista spinga all’autodistruzione i suoi coetanei giustificandola con il fatto di “non lasciare corpi sani e menti lucide ai padroni schiavisti”? In un gioco tra provocazione e rabbia tira in ballo personaggi famosi alla cronaca: Erika Di Nardo, Berlusconi, Lapo… fino a l’immaginare il Tricolore formato dal verde delle banconote da 100 euro, dal bianco delle strisce di cocaina e dal rosso sangue versato dai giovani il sabato sera. Non è dato di sapere se sia solo provocazione, ma è certo che l’autore non perdoni nessuno (compresi i propri personaggi).
Ricci supera la descrizione del disagio inerente la paura di un futuro buio dovuto alle forme mascherate di disoccupazione/occupazione a cui i giovani sono sottoposti.
Caos Amore Caos dà voce ad una generazione illusa e massacrata dall’osceno sogno di poter diventare “star” dello spettacolo, “star” della propria esistenza.
Il racconto approda ad un “contrasto-rivendicazione-reazione” nei confronti di quel sistema valoriale che ha inciso sulla formazione etica e morale di quei trentenni che ora si sentono presi in giro. In tal senso, il protagonista, prima riconosce i suoi carnefici-padroni nei gestori dell’industria culturale e dei consumi, poi in quelli della moralità.
Ricci usa il suo protagonista per avvertire un mondo incapace di ascoltare e comprendere. L’autore strazia le comatose speranze degli adulti, terminandole, per ripartire da zero.
Il racconto descrive qualcosa di più di uno scontro tra generazioni, come il precedente libro “Amarkord” è uno spaccato generazionale, ma in Caos Amore Caos il protagonista incarna la consapevolezza, incarna l’impotenza di vasti strati di giovani nei confronti della repentina evoluzione della società, incarna un tentativo di salvezza dal degrado generale dei cardini sociali. Il protagonista soffre il nulla.
In seconda lettura, il protagonista rappresenta anche una generazione “viziata” e forse incapace di “auto-relizzarsi” ed adattarsi, infatti, il protagonista -ed il suo intorno- non vive il degrado delle “periferie povere”.
La scelta del protagonista di “colpire”, rappresenta infatti una rivolta contro i “fautori” dell’attuale cultura del nostro paese da parte di una generazione disillusa nelle aspettative, che come ultimo approdo ha il rancore. L’amoralità totale per tornare alla moralità.
“Nei miei libri – commenta Giuseppe Ricci – cerco di evocare un quadro contemplativo, se ho detrattori e increduli è solo perché essi temono (a ragione) l’orrendo mondo che descrivo”.
Il finale, suggestivo e disperato, è tutto da scoprire…