L’INTERVISTA
– Renato Capacci a 51 anni dopo 14 è ritornato a far politica con Rimini riformista alle elezioni comunali riminesi della scorsa primavera. Con una lista di cittadini, come ama dire ha raccolto più del 5 per cento dei suffragi e un consigliere. Fa una opposizione, puntigliosa e propositiva.
– Sposato, due figlie (Giulia e Maddalena), passione per la terra, è stato un autentico enfant prodige della politica della città e non solo. A 25 anni si laurea in Psicologia e diventa segretario di federazione del Psi. A 33 anni, con 8.000 preferenze, diventa parlamentare. Alle politiche del ’92 ne ottiene 14.000 ma per poche decine di voti è fuori. Travolto da Tangentopoli abbandona la politica. Alla fine del ’92 apre uno studio di psicopatologia della famiglia a Rimini. Oggi, coordina più centri in Italia: Ancona, Cesena, Firenze, Pisa.
Che cos’è la politica per lei?
“Non è una professione. E’ una passione per la quale si dà tutto. La storia con la quale l’ho vissuta è quella di un gruppo di ragazzi che voleva cambiare tutto, innovare. Quando abbiamo iniziato i socialisti erano al 7 per cento; l’abbiamo portato al 15, esprimendo due sindaci e un parlamentare. Ed erano anni in cui la politica si faceva nel tempo libero, con pochi quattrini e senza mezzi di comunicazione. Quei ragazzi si sentivano un po’ diversi anche nel Psi. Quasi nessuno viveva di politica; dopo, nelle professioni, sono emersi. In quegli anni, a livello locale, abbiamo dato un bel contributo alla politica intesa come cultura”.
Di che cosa hanno bisogno i riminesi?
“Di una classe dirigente che sappia valorizzare le iniziative, creare il contesto per implementarle, maggiore sicurezza per il futuro. Si sta creando un divario; lo dimostra il 33 per cento che non va a votare: una forte crisi di fiducia tra cittadini e istituzioni”.
Che cosa apprezza di più in una persona?
“L’essere autentico. Che significa tante cose: la lealtà, il rispetto, l’amore per la dignità dell’essere umano. Capisco che in una società dell’apparire e dell’immagine si è fuori moda, ma il mio mezzo di vita mi permette di non seguire le apparenze”.
Lei con i socialisti è stato travolto da Tangentopoli, quali ricordi?
“Come uno di coloro i quali fecero presente che quel modo di fare politica non poteva continuare. Responsabile di un patrimonio di idee, quindi male. Ma si pensa anche che in politica ci si aggiorna sempre, nulla si inventa e che qualcuno riprenderà il cammino interrotto. Tangentopoli è il sintomo che la politica non riuscì a dare risposte ai cittadini. E che forse poteva toccare a me quello che è capitato ad altri; in quel film bastava essere socialisti”.
Perché è ritornato a fare politica?
“Non se ne poteva più. I problemi di Rimini sono quelli di 14 anni fa. La politica è diventata un meccanismo di consenso e uso personale delle risorse pubbliche. A me non piace solo criticare e pensi che qualcosa debba essere fatta. La politica è un brutta bestia, ce l’hai dentro. In questi anni Rimini non è stata amata. Chi ambisce alla cosa pubblica deve in primis non sprecare la ricchezza della collettività. Invece, si sono fatti solo calcoli di carriera, con un senso di impunità, cioè che nessuno debba rispondere del proprio operato. Rispetto al passato, la politica è diventata cooptazione in base a meccanismi di fedeltà. I partiti non selezionano la classe dirigente e nessuno deve rispondere delle scelte. Ad esempio sulla questione palazzo dei congressi si va a massacrare un pezzo di città. Credo che a Rimini manchi di una classe dirigente all’altezza. C’è una generazione di 30-40nni che ha avuto moltissimo da Rimini e dovrebbe ora, per riconoscenza, ridare qualcosa attraverso l’impegno politico. Purtroppo il declino dei Ds come partito significa anche il declino del suo blocco sociale e rischia di trascinare con sé tutta la città. E su questo gli stessi diessini stanno sprofondando. La politica non ha più un progetto di città; la si fa a caso come lanciare i dadi. Da qui l’idea di questa lista cittadina e non civica e che nel 2007 inizierà a raccogliere adesioni”.
La vicenda stadio che cosa le suggerisce?
“Che non c’è un concetto di sviluppo. L’amministrazione comunale aspetta che siano gli imprenditori a fare le proposte. Invece, senza un metro cubo in più, si potrebbe fare nell’ex Ghigi, con magari accanto una struttura sanitaria-sportiva. E che lo sviluppo non può essere due tappi come le Befane e i Malatesta. E’ una città che non ha investito sulla sua identità: il centro storico e il mare. Tira su il Peep di Viserba e ci si appella all’eccellenza. A Rimini bisogna riportare la bellezza, come servizi, luoghi, scambi. Bisogna tornare a star bene per i riminesi e per i turisti”.
A suo parere i politici sanno di economia?
“A mio parere molti non sanno neppure cos’è la politica. Che è una miscela composita come l’amore, nella quale c’è un po’ di tutto: etica, urbanistica, comunicazione, economia, responsabilità”.
Quali difetti si riconosce?
“Sono permaloso, cocciuto e pignolo. Bastano?”.
Qual è il peccato più diffuso in politica?
“La presunzione”.
Come vede il futuro della provincia?
“Dovrebbe essere una modernizzazione che persegua la qualità della vita, facendo sempre meglio le cose che si sanno fare. Ci vogliono concorsi di idee internazionali. Ho rabbia vedendo il palazzo dei congressi, il centro storico”.