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Home Località Cattolica

Castelvetro: uomo di coraggio, persona perbene

Redazione di Redazione
9 Ottobre 2007
in Cattolica
Tempo di lettura : 7 minuti necessari
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penso siano poche le persone a Cattolica che non ti conoscano, che non ti abbiano conosciuto. Gli adulti, gli anziani, i vecchi, ma anche i giovani, i ragazzi di oggi, quasi tutti hanno sentito parlare di te.
Maestro ed educatore, uomo politico ed instancabile compagno organizzatore, assessore alla Pubblica istruzione, sindaco, sempre pronto a cercare tutte le strade ed i sentieri più impervi per superare gli innumerevoli ostacoli della burocrazia onde poter strappare finanziamenti, progetti, realizzazioni a favore della Scuola o delle pubbliche edificazioni della nostra città, della tua città, di questa tua Cattolica di adozione.
Sono innumerevoli i compiti e gli incarichi a cui tu hai assolto in quegli anni, dedicando ogni attimo della tua vita per il bene pubblico. Vero è che la nostra cittadina, per un periodo, fu tra le più dotate in Italia per strutture scolastiche primarie.
Venisti a Cattolica da Ravenna quando eri un giovane maestro 33enne, nel ’54, quale educatore alle scuole elementari e subito sapesti esternare e mettere a frutto tutta la tua capacità e forza di rottura rispetto al vecchio modo di insegnare.
Emanavi tutta la carica di entusiasmo che usciva dalle speranze di un giovane del dopoguerra, dopo la riconquistata libertà, a caro prezzo ottenuta con la lotta partigiana di cui tu fosti membro di quelle brigate che con il loro sacrificio riscattarono l’onore italiano per la vergogna del fascismo e di quella negletta monarchia.
Quelle brigate partigiane del Ravennate comandate dal leggendario Arrigo Boldrini, il Comandante Bulow, il tuo comandante che aveva allora, soltanto 28 anni, sei più di te, del quale ricordo l’incontro del 5 ottobre 2003 a Marzabotto, in occasione delle celebrazioni del 59° anniversario dell’eccidio, quando, ai piedi del palco, Lui ti riconobbe e ti abbracciò. Io ero lì, con te e rimasi commosso.
Quel vecchio piccolo uomo, capo di quel movimento partigiano che aveva contribuito alla liberazione di Ravenna, ferito in battaglia ed insignito di medaglia d’oro dal comandante dell’8^ armata inglese, mi apparve in tutta la sua grandezza.
Quelle brigate partigiane, dicevo, che nel Ravvenate riuscirono ad infliggere duri colpi ai reparti tedeschi ed ai loro servi fascisti repubblichini di Salò.
Quando ne parlavamo, ti brillavano gli occhi e ti entusiasmavi nel ricordo. Il ricordo di dure lotte, di paure, di sacrifici ed il ricordo dei compagni persi, che hanno sacrificato la loro gioventù e la loro vita per la libertà.
Di questi tuoi compagni, eroi partigiani e martiri, io voglio ricordare per tutti quanti i soli nomi di tre partigiane cadute in quella lotta: Iris Versari, 22 anni, figlia di poverissimi contadini sulla cui famiglia i tedeschi sfogarono tutta la loro ferocia;
Ines Bedeschi, 30, il cui corpo straziato dalla Gestapo e gettato nel Po non sarà mai più trovato;
Lina Vacchi, operaia oraganizzatrice nel sindacato che, condannata a morte con impiccagione, dai carnefici fascisti, fu fatta prima assistere al massacro di tutti i suoi compagni, e fu capace di tener fronte ai suoi aguzzini, infilandosi da sola il cappio in testa per non farsi toccare dal boia.
Ti piaceva annualmente incontrarti con quei tuoi vecchi compagni partigiani di Ravenna. I racconti, i ricordi, i canti, me li rammento. Più di una volta lo abbiamo fatto a Montefiore, nella nostra casa di campagna.
Erano per te un rivivere, un ringiovanire.
Per chi ha vissuto quella esperienza, è sicuramente impossibile dimenticare ciò che è stato quel periodo, tra la ingloriosa fine del fascismo del 25 luglio 1943, la insipienza di casa Savoia e di tutto il suo Stato Maggiore con la fuga ignominiosa dell’8 settembre lasciando il nostro esercito in Italia, in Grecia, nei Balcani, nelle isole, in balia dei tedeschi con la riapparizione di un fascismo vendicativo e sanguinario al seguito dei nazisti spietati e crudeli occupanti del suolo della nostra patria.
Due inverni, con venti interminabili mesi occuparono gli anni della tua giovane vita, caro nostro compagno partigiano Mario e sono stati mesi che non si possono dimenticare e che tu non potevi certo dimenticare.
Quei ricordi, legati a qualcosa che accumunava per sempre tutti i combattenti, al di sopra delle ombre, delle polemiche, dei diversi dissensi ideologici e caratteriali, erano l’amore per la libertà, l’amore per il sogno di una società migliore e libera.
Quella stagione, vissuta nella “Resistenza”, stagione di tensioni, di fatiche, di privazioni, di segrete paure, che assolutamente nessuno vuole che venga mai vissuta dai propri figli, dai propri nipoti; eppure, fu anche la stagione più bella della vita dei giovani partigiani, non tanto e non solo perché legata agli incanti della gioventù, ma illuminata dalla speranza.
Ti ricordiamo, Mario, con la tua instancabile attività ed il tuo entusiasmo encomiabile, un entusiasmo giovanile. Emanavi una carica, anche in questi ultimi anni, che costringeva il tuo interlocutore a vergognarsi di professarsi pensionato.
La mia nipotina, non ancora 11enne di quinta elementare, tre mesi fa o poco più, mi aveva riportato il tuo esordio nella sua scuola. Mi aveva detto: “E’ venuto nella nostra classe un vecchio maestro a raccontarci la Resistenza. Mi sembrava, quando parlava, di sentire te nonno, con i tuoi racconti che ci fai la domenica, a tavola, quando mangiamo tutti assieme. Ma lui, è anche più vecchio di te, si chiama Castelvetro e mi ha detto di salutarti; ti conosce”.
Quando tu venisti a Cattolica, esisteva ancora l’esame di ammissione dalla quinta elementare per potersi iscrivere alla prima classe della scuola media ed occorreva mandare i ragazzi a lezioni private a pagamento per la loro necessaria preparazione per superare quell’esame, che era già, a prescindere da altre contingenze, un elemento di selezione sociale.
Fosti tu l’iniziatore e l’elemento trainante di quel piccolo gruppo di insegnanti per formare un doposcuola gratuito per la preparazione e questo ti rende onore, rende onore alla tua memoria.
Tu, già vecchio, eri permeato da una carica di vitalità che ti obbligava ancora ad interessarti della scuola, delle scuole, della istruzione, della storia da insegnare ai giovani, della storia sulla Resistenza, perché tu sapevi che non si deve considerare il ricordo aspro e terribile di quei tempi, affidato soltanto al marmo dei monumenti, alla testimonianza muta di un insieme di sacrifici senza pari.
Io sono anche d’accordo con il Foscolo sulla importanza dei Sepolcri, dei ceppi lapidei che ricordano ai posteri gli uomini migliori con i loro esempi di vita, i loro insegnamenti, i loro sacrifici e le loro opere; ma oggi non basta, e questo tu lo sapevi e lo avvertivi; la vita vive un regime frenetico, veloce e convulso ed i giovani, le giovani generazioni, possono correre il rischio di essere distolti dalla cultura della memoria; quindi è compito degli adulti, dei vecchi come noi far sapere, far conoscere, raccontare la storia del passato e del nostro recente passato e tu questo lo sapevi bene ed era nel tuo stile di vita questa tua opera di educatore.
Ti ricordiamo, Mario, quando organizzavi l’attività dell’Anpi, quando ti facevi capo di iniziative pubblicistiche in campo storico come la presentazione, tre anni fa, del volume del partigiano ravennate Gianni Giadresco sulla Guerra in Romagna tra il 1943 e il 1945.
Lo scorso mese, al museo Tonini di Rimini, in occasione della presentazione dell’ultimo volume di Sergio Zavoli, questo vecchio scrittore e uomo di cultura, col quale più volte mi sono incontrato, nell’abbracciarmi, mi aveva detto di salutarti quando ti vedevo. In realtà, sia quel giorno e sia quelli appresso, non avrei certo mai pensato che questa scorsa notte, anziché dedicarmi alle mie usate letture, mi sarei messo a scrivere la tua orazione funebre.
Mi dispiace tanto di non aver fatto in tempo a portarti questo suo saluto, questo suo abbraccio.
Ti ricordo, Mario, ricordo il tuo volto, che da allegro divenne di colpo costernato, quel triste giorno del 3 novembre di quasi due anni fa; quando io tornavo piangendo lungo la strada via Dalla Chiesa ed alla rotonda, nell’incrocio con via Francesca da Rimini, interrompesti la tua conversazione con alcune persone lì presenti con te, per la mia ferale notizia della morte improvvisa del nostro giovane Enrico. Ricordo il sincero sgomento che si dipingeva sul tuo volto, vedendo la mia disperazione.
Ora tu non ci sei più Mario. Non possiamo dire che, per la tua età anagrafica, sia una morte prematura, ma certamente lo è per l’età del tuo spirito.
Anche se usavi accompagnarti dall’aiuto del bastone dei vecchi, tu eri ancora un uomo giovane, uno spirito giovanile che avrebbe potuto ancora profondere insegnamento, cultura ed esempio.
Ma il nostro corpo è un organismo complesso e vulnerabile e può nascondere insidie impreviste, purtroppo non solo per le persone anziane come noi.
Il tuo ricordo ci conforta perché sappiamo che la tua vita è stata serena e ben spesa nello spazio di un’esistenza intensa e proficua così come deve essere quella degli uomini migliori e nel porgere i sentimenti di cordoglio a tua moglie Bianca, ai tuoi figli Maurizio, Valter e Tiziano, alle tue nuore, ai tuoi nipoti, ai tuoi parenti, agli amici ed ai compagni, voglio chiudere questa orazione funebre con le parole del grande poeta iberico del primo Novecento che, nel ricordo dell’amico morto, steso avanti a lui sopra la gelida pietra, sopra la pietra quale “fronte dove i sogni gemono”, sopra quella pietra che è “una spalla per portare il tempo”, sopra quella pietra che “non dà suoni, né cristalli, né fuoco,” vuole confortarne il ricordo perché in natura tutto muore e la stessa vita è un cammino verso la morte, e tutto muore perché tutto possa rigenerarsi e rinnovarsi nella vita degli altri che vengono e che verranno.
Pur nel rispetto delle persone che credono, io so, come tu sapevi, che non ci sono cieli che ci possono attendere, che è vana illusione religiosa quella egoistica ed innaturale pretesa di voler vivere oltre la morte, addirittura di voler risorgere.
E’ il retaggio della primordiale illusione dell’uomo che risale alla notte dei tempi, fin dagli antichi miti, dalle prime credenze divine, dagli ultimi monoteismi, alimentata poi dalle interessate classi sacerdotali di quasi tutte le religioni.
Noi sappiamo che la morte è l’evento più naturale ed indiscutibile che esista in natura per tutti i viventi, dopo quello della nascita e sappiamo che il nostro unico vero bene è la nostra vita terrena, con la emancipazione degli uomini, con il benessere dei corpi e delle menti, così come i più illuminati e sinceri filosofi greci del tipo di Senofane, Eraclito, Democrito, Aristippo, Epicuro ed altri e come il poeta latino Lucrezio, avevano fin d’allora intuito, capito e riportato ai posteri.
La vita, che ci è data di vivere dalla natura, è una sola per ciascuno di noi, così come per tutti gli esseri viventi, si vive quindi una sola volta e poi si lascia il posto a quelli che verranno. Di noi vivrà il ricordo e quindi vivremo ancora nel ricordo dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei nostri amici, dei nostri compagni e sicuramente vivremo finché il nostro ricordo vivrà nella mente degli altri. Il ricordo di ciò che siamo stati e ciò che di buono abbiamo rappresentato nel corso della nostra esistenza e non per la pretesa di essere poi ricompensati in un’altra vita ultraterrena che non esiste, ma per essere sereni ed in pace con se stessi e con gli altri che hanno vissuto la loro esistenza contemporaneamente alla nostra.
Quindi, per dirla con il Poeta, traendo una naturale consolazione, chiudo con i suoi versi: “Vai Mario. Non sentire il caldo bramito. Dormi, vola, riposa, muore anche il mare”.

Silvio Di Giovanni
Orazione funebre tenuta nel cimitero prima della sepoltura

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