URBANISTICA
– Claudio Masini è un giovane architetto di Morciano. Partecipa a questo “forum” iniziato lo scorso anno, che coinvolge i progettisti del Riminese. Interviste che vogliono mettere nella mente il seme della riflessione su uno sviluppo urbanistico lontano dall’armonia dell’uomo e del paesaggio.
– Quali sono le conseguenze nella nostra vita di questo tumultuoso sviluppo urbanistico?
“È’ molto difficile rispondere sinteticamente e oggettivamente a domande di questo tipo perché queste potrebbero essere la base di un dibattito molto più ampio che andrebbe a toccare molti degli aspetti fondamentali della nostra società, in quanto il tema dell’abitare e della città è strettamente legato alla qualità della vita e delle persone che vi abitano.
Oggi ci troviamo di fronte ad una civiltà condizionata da una società dove gli originali riferimenti etico-popolari provenienti dal nostro passato, tendono ad offuscarsi cedendo il passo ad una filosofia consumistica di massa”.
Perché tale sviluppo urbano?
“Questo cela dietro di sé un decadimento culturale che, come conseguenza, porta alla disgregazione dei modelli di riferimento assimilati ed un cambiamento del costume e dei modi di vita che impongono l’adattamento delle masse ad una nuova filosofia che assume come parole d’ordine ‘consumare’, ‘cambiare’, ‘sostituire’.
Tutto questo comporta una imposizione di modelli non condivisi ma creati ad hoc e diffusi dall’effetto mediatico di un sistema che basa la propria essenza su leggi che si fondano sulla sola regola dettata dalla logica di mercato”.
Le conseguenze?
“L’architettura non è immune da questo sistema e il risultato è quello che appare ai nostri occhi quotidianamente.
Penso, in questo momento, alla difficoltà oggettiva di trovarsi di fronte a luoghi, spazi o viste che possano trasmettere emozioni, penso al continuo uso indiscriminato del suolo, penso all’ambiente, allo scarso valore estetico di ciò che ci circonda, penso alla qualità di molte delle case che abitiamo.
Penso alle città che un tempo erano a misura d’uomo, erano fatte di stratificazioni per assolvere le esigenze di una società che cresceva, erano luogo di socializzazione; oggi invece sono aggregati di disordine dove le persone che le abitano vengono rinchiuse nel loro privato e totalmente allontanate da quelle relazioni sociali indispensabili per lo sviluppo della coscienza umana.
La cosa peggiore di tutto questo è il fatto che la gente si abitua ad un modello errato, con la conseguenza che con il tempo finisce per apprezzarlo”.
Le responsabilità?
“Chi siano i responsabili però non è cosa semplice da definirsi.
I progettisti da parte loro, mi pare abbiano smesso di diffondere lo spirito della loro professione, facendosi assecondare dalle lusinghe di un mondo consumistico che sfrutta il territorio su cui l’uomo vive senza porsi il problema dei danni che stanno provocando.
Probabilmente però, ognuno di noi deve rispondere nel suo piccolo ed assumersi le proprie responsabilità.
Mi piace la molto provocazione fatta dal collega Marino Bonizzato che usando la metafora della rivoluzione propone di guardarsi dentro per ricercare quei valori fondamentali di una cultura che non deve essere cancellata, ma che al contrario deve continuamente venire alimentata e stimolata”.
Che cosa fare per invertire la tendenza?
“A margine di questa riflessione, penso che il modo per elevare la qualità delle cose, non sia l’aspettare soluzioni politiche o mosse da chissà quale ordine per risolvere problemi, ma aprire un confronto, che partendo da noi professionisti si diffonda creando quella sana competitività capace di trasmettere le qualità e i principi di un architettura partecipata e condivisa, un’architettura rispettosa dell’ambiente e delle esigenze dell’uomo”.