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Dossetti, il vecchio prete che difende la Costituzione

Redazione di Redazione
8 Maggio 2007
in L'opinione
Tempo di lettura : 5 minuti necessari
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La felice riuscita della serata, con il plauso del pubblico sull’onda dell’interessante figura di Giuseppe Dossetti, ha espresso il meglio nel proficuo terreno del ricordo di un personaggio che non è più tra noi da 10 anni, ma il cui pensiero e la cui azione di vita sono ammaestramenti tutt’ora validi ed attuali nel nostro contesto sociale e politico, oltre ovviamente agli aspetti religiosi che i credenti sanno giustamente cogliere in una figura così altamente edificante e spirituale.
Pregevole e puntuale a fine relazione tra gli interventi, quello dell’avvocato Astorre Mancini che ha colto il nesso della resa politica di Dossetti agli inizi degli anni ’50.
Fu senza ombra di dubbio un uomo di altissimi riferimenti umani, sociali e politici, partigiano dal ’44 al ’45 partecipando attivamente alla resistenza nell’Appennino reggiano, rappresentante del partito democratico-cristiano, poi presidente del Cln di Reggio-Emilia, convinto antifascista, fondatore della pregevole rivista “Cronache Sociali” nel ’47.
Uomo dalla feconda capacità di politico e giurista dalla intelligenza e preveggenza non comuni, membro di quelle tante e dialoganti sottocommissioni dei 75 componenti nel 1947 che, con la forza delle idee e della parola, scrissero la nostra Carta Costituzionale.
Seduti uno di fronte all’altro con Togliatti, di vent’anni più vecchio, che lo considerava con profonda stima, come ha anche ricordato il Cardinale Tonini; soprattutto durante i lavori della prima sottocommissione che elaborò l’art. 7, dal cui confronto nacque la positiva soluzione che fece uscire l’Assemblea dalle acque pericolose dello scontro frontale; così mi pare di vederli ed udirli, tanto è intenso l’emozionante ricordo di quei lavori parlamentari.
Dossetti, docente e profondo conoscitore del diritto, nutrì la speranza che la nascente Repubblica potesse vivere di quelle sublimi tensioni ideali che erano il parto della Resistenza germinata nel cuore e nella mente di tanti italiani; (come ad esempio don Milani) che aveva riscattato il nostro onore di fronte al mondo con la lotta contro il nazismo e l’insorto fascismo di Salò.
Uomo di profonde convinzioni di giustizia sociale, assertore della povertà evangelica, collocato a sinistra del suo partito che non esitò a rinunciare, così come rinunciò nel ’51-’52, alle alte cariche politiche che aveva ed allo stesso mandato parlamentare, quando si avvide dell’impotenza della sua azione politica in seno al suo partito e sentì crollare, nel conservatorismo del suo stesso partito, che aveva abbandonato la lotta organica contro la disoccupazione e la miseria, quelle aspettative del popolo degli ultimi “quelle attese della povera gente” come scrisse La Pira su “Cronache Sociali” all’indomani dell’eccidio di Modena del 9 gennaio ’50.
Il suo conseguente distacco dalla politica prima, poi la sfortunata candidatura municipale bolognese del ’56, quale risultato di un atto di obbedianza, lo porterà a dar vita alla Comunità Piccola Famiglia dell’Annunziata ed a collaborare con l’arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro (nonchè alla sua ordinazione sacerdotale la mattina dell’Epifania del ’59); collaborazione che contribuì a trasformare la diocesi bolognese dei “frati volanti” dalle esasperanti contese, in una interessante realtà di una comunità cattolica ricettiva delle più avanzate esperienze religiose e sociali in un clima di dialogo fra credenti e non credenti.
Fu un importante uomo politico che, assieme ad Aldo Moro, a Giorgio La Pira e a Giuseppe Lazzati, quale pattuglia di punta dei cattolici progressisti nella Costituente, perseguivano l’obbiettivo del riconoscimento costituzionale al primato della persona.
Erano queste spinte politiche importanti in seno alla Dc che si ponevano in opposizione alla politica di De Gasperi di cui Lazzati fu il principale autore e fondatore dell’associazione “civitas humana” da cui nacque “Cronache Sociali”, con posizioni avverse ai comitati civici.
Un uomo che, già ottantenne, nei suoi ultimi anni di vita, visto nell’aria il pericolo della ventata involutiva di quelle idee che seguivano la discesa in campo di certi personaggi, si dedicherà ad una impegnativa attività oratoria in difesa dei principi della Carta Costituzionale dando vita anche ai comitati per la Costituzione.
Sono ammirevoli i suoi interventi in varie riviste, pubblicazioni, saggi che, per ragioni di spazio, non posso elencare ma non mi posso esimere dal riportare almeno alcune sue brevi frasi: “Tutte le libertà garantite dalla presente Costituzione debbono essere esercitate per il perfezionamento integrale della persona umana, in armonia con le esigenze della solidarietà sociale ed in modo da permettere l’incremento del regime democratico mediante la sempre più attiva e crescente partecipazione di tutti alla gestione della cosa pubblica”.
Altri passi: “…Per queste ragioni la nostra Costituzione, malgrado tutte le sue imperfezioni, potè elevarsi a dignità di un vero Patto Nazionale, in cui sono confluite le tre grandi tradizioni politiche del nostro Paese: quella liberale, quella cattolica, quella social-comunista”.
Ed inoltre…: “E fu così che anche uomini del Sud, che non avevano vissuto personalmente né la Resistenza né la lotta partigiana, poterono dare un segnalatissimo contributo di unità e di creatività pacifica nella stesura della Costituzione, in piena sintonia di sentimenti e di concetti con uomini del Nord. Ricorderò almeno tre nomi fra i non pochi, tre nomi il cui intervento è rimasto, nella Costituzione, storicamente decisivo, sia dal punto di vista tecnico-giuridico che da quello politico: cioè Aldo Moro, pugliese, Costantino Mortati, calabrese, e Giorgio La Pira, siculo-fiorentino”.
E ancora: “Questo ‘Patriottismo della Costituzione’ può concorrere, per oggi e per domani, a un rinsaldamento della nostra unità. Certo, posso convenire con Norberto Bobbio che questo patriottismo si pone su un altro piano da quello del patriottismo nazionale”.
Cercate di conoscerla, di comprendere in profondità i suoi principi fondanti, e quindi di farvela amica e compagna di strada. Essa, con le revisioni possibili ed opportune, può garantirvi effettivamente tutti i diritti e tutte le libertà a cui potete ragionevolmente aspirare; vi sarà di presidio sicuro, nel vostro futuro, contro ogni inganno e contro ogni asservimento, per qualunque cammino vogliate procedere, e qualunque meta vi prefissiate”.
Dai miei vecchi libri ho tratto una intervista che il grande vaticanista Libero Pierantozzi fece a Dossetti a Monteveglio in una fredda sera del dicembre ’65 e mi piace riportarne almeno alcuni stralci:” Dalla bolognese porta Saragozza, percorrendo la strada bazzanese, tra i borghi industriosi – Casalecchio, Lavino di Mezzo, Crespellano, Ponte Ronca, Bazzano, costellati tutti di Case del popolo moderne, efficienti, contrappunto quasi ai cippi dei Caduti partigiani disseminati ai margini dei campi – giunti alla svolta della Muffa, ci si inoltra, tra ciliegi spogli, verso Monteveglio.
L’abbazia, parte del XII secolo, parte dell’VIII secolo, è in cima a un poggio.
Un tempo fu dei canonici lateranensi di regola agostiniana. Un chilometro e mezzo di strada tortuosa e precaria tra i calanchi, fino al muraglione merlato di cotto abbrunito.
Il primo incontro avviene nel chiostro del ‘400, nel silenzio freddo e secco della sera. Poi una stanza lunga e spoglia, la tovaglia cerata su un tavolo, scaffali, libri, un crocefisso. Ci sediamo accanto: solo per me una tazzina di caffè lento e caldo.
‘Lei è il primo giornalista che rimane qui più di dieci minuti’.
Rimarrò oltre un’ora. Un’ora fatta di molti silenzi, di pause elusive, di nomi ed eventi sottintesi o rifuggiti. ‘Lavoro e taccio. I monaci tacciono. Rompono il silenzio soltanto in occasioni straordinarie’.
Alto, la veste e il tabarro neri del monachesimo benedettino, la fronte recisa netta dai capelli già imperlati:ecco, oggi, Giuseppe Dossetti, l’antico ‘leader’ della sinistra democratico-cristiana, quindi testimonianza muta di una “sconfitta” e di una volontaria “rinuncia” per ragioni essenziali, tutt’altro che estinte, chè anzi si ripropongono e tornano ad investire – dall’interno e dal di fuori – l’intero corpo del cattolicesimo italiano.
Questo uomo, via via definito: – romantico dell’Unità Resistenziale, moralista velleitario, occulto ispiratore del moto ‘per la chiesa dei poveri’, perfino neo-modernista ereticheggiante, il cui rigoroso e sdegnoso ‘silenzio’ si stempererà poi in una ottimistica ripresa, è e resterà uno dei nostri uomini migliori del XX secolo”.

Silvio Di Giovanni

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